Ucraina, il successo di Svoboda e il volto del nazionalismo identitario
[ad]Dopo aver ascoltato gli stagionati discorsi delle presunte autorità che usavano la freschezza dei volti dei più giovani per rinverdire sentimenti stantii, ho deciso fosse abbastanza e mi sono preparato così al congedo. Non appena girati i tacchi vedo però un corteo ancor più vasto, più rumoroso, più aitante, dirigersi verso la piazza. Mi precipito quindi verso il suddetto e, nell’avvicinarmi, inizio a scorgere una distesa di teste rasate, bomber neri e bandiere recanti simboli quali la croce celtica e la svastica. Lascio il corteo sfilarmi davanti e vedo una marea di giovani in borghese tra le sue fila. Contando il dato che riporta il disinteresse del 97% dei giovani per la politica e considerando la minuta schiera di giovani attivisti presenti durante le adunate di piazza dei principali partiti politici (esclusi quelli che ancora oggi barattano la propria fame con i trenta euro a giornata offerti da Yanukovich per rendere pompose le foto e i video delle “oceaniche” piazze), ciò ha dato ancora più sgomento alla rilassante passeggiata che mi ero ripromesso. Pensare infatti che la nuova generazione sia seminata in campi dove abbondano concimi quali svastiche e croci celtiche, mi ha portato a concludere che, se è questa la maschera dei cambiamenti promessi dal progressismo identitario, tanto vale conservare lo status quo. Dopo essere rientrato a casa, dove fortunatamente nessun bercio della manifestazione ancora in corso riusciva a giungere, ho acquisito la freddezza mentale necessaria e ho provato a contestualizzare ciò che era accaduto nel poco domenicale pomeriggio che mi era stato, in qualche modo, sottratto. Ho convenuto, nonostante il suggerimento di evitare distinguo quando si parla di nazionalismo riservatomi da due amici-spettatori, che ciò a cui avevo assistito era la frangia estrema della bandiera nazionalista e che esisteva invece, così come avevo avuto modo di constatare in precedenza, un nazionalismo moderato in grado di seguitare la strada del progressismo intrapresa negli ultimi due decenni. Ossia un nazionalismo “dal-volto-umano” che, a seguito delle dissoluzioni di fine Novecento, era stato capace di scrollare di dosso ai propri connazionali la pesante etichetta che sotto i vari pan-qualcosa tentava di ritardare la loro uscita dall’incolpevole stato di minorità. Un nazionalismo capace insomma di far combaciare il proprio perimetro con la definizione che si dà di progressismo,“inclinazione sostenente la necessità di accelerare il progresso, cioè l’evoluzione della società nell’ambito politico, sociale ed economico”. Ciò mi ha parzialmente acquietato. Necessito tuttavia nuove aquinate prove per convincermi sia effettivamente così.