Perché serve ancora Obama alla Casa Bianca
Quando Obama fu eletto alla Presidenza degli Stati Uniti, nel 2008, la crisi finanziaria era nel suo momento più drammatico. Lehman Brothers era da poco fallita. Se si vuole valutare serenamente e obiettivamente il suo operato bisogna in primo luogo calarsi nel clima di quei giorni.
[ad]La crisi fu in primo luogo un grande choc culturale. Le più grandi istituzioni finanziarie del mondo, vere cattedrali del capitalismo globale, si rivelavano essere delle tigri di carta per il crollo del valore dei titoli che detenevano in portafoglio e per lo spargersi della paura che paralizzava il mercato interbancario. Per diverso tempo il crollo del sistema finanziario globale è stato una possibilità concreta. Il mainstream economico si fece cogliere completamente impreparato dal diffondersi di una crisi che, nell’incalzare degli eventi costrinse il ministro delle finanze Paulson e l’amministrazione Bush a violare tutti i tabù, dagli aiuti pubblici alle nazionalizzazioni. La crisi nasceva certo da lontano, dal processo di deregulation del settore finanziario attuato a partire dagli anni Ottanta dall’amministrazione Reagan prima e Clinton poi, ma fu accentuata nella sua drammaticità da alcune scelte compiute da Bush e da Greenspan, che determinarono il formarsi di una enorme bolla immobiliare, l’effetto della quale fu ingigantito dall’aumento esponenziale della creazione di titoli derivati a partire dalle cartolarizzazioni dei mutui.
In questo contesto Obama si propose come una scelta di cambiamento radicale, suscitò attese messianiche di rinnovamento, prefigurò una trasformazione e un rilancio del sogno americano. Chiaramente di fronte a queste grandi aspettative suscitate, il suo operato non ha potuto essere pienamente all’altezza, dovendosi confrontare con le enormi difficoltà poste dalla situazione in cui si è trovato ad operare. Eppure i punti in cui Obama è effettivamente criticabile non sono quelli che gli rimproverano i sostenitori di Romney. La creazione di debito per sostenere la domanda con spesa pubblica era necessaria per spezzare una situazione che si avvitava su se stessa, nella quale le aspettative che si facevano via via più negative degli operatori, il credit crunch, i fallimenti concorrevano a creare una situazione sempre più nera. Del resto in una prima fase le scelte di Obama incontrarono il consenso generale: “We are all keynesian”.
Fu in seguito, quando il grande pericolo sembrava ormai scampato, che l’atteggiamento dei Repubblicani cambiò e, anche sulla spinta del Tea Party, si iniziò a pensare di poter lucrare politicamente sulla questione del debito e della spesa pubblica. Mentre nel 2011 la scelta dell’Europa conservatrice di virare verso una politica di austerità dava inizio alla crisi europea, i Repubblicani negli USA usarono il voto sull’incremento del debt ceiling per intaccare la popolarità di Obama: flirtando con la prospettiva del default e peggiorando le prospettive economiche forzarono l’approvazione di un pacchetto di tagli.
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