[ad]Domenica scorsa, 4 novembre, si è celebrata in Russia la “Giornata dell’unità popolare”. Introdotta nel 2004, su proposta del Consiglio interconfessionale russo, la ricorrenza rimembra le eroiche gesta della milizia popolare, guidata dal mercante Kuz’ma Minin e dal principe Dmitrij Požarskij, prodigatasi, il 4 novembre 1612, al fine di liberare Mosca dall’occupazione polacco-lituana. Nell’arco delle ultime edizioni, la giornata, si è trasformata però in palcoscenico per le rivendicazioni degli ultra-nazionalisti che, fiutata la portata mediatica dell’evento, ne hanno istituito la vetrina del loro berciare xenofobo e della loro condanna alla corrotta élite del Cremlino. Il binomio tra xenofobia e anti–putinismo trova infatti terreno fertile nella parte di società russa che, dalle prime manifestazioni del dicembre scorso, ha rimpolpato le crescenti membra dell’opposizione. Uno dei suoi principali leader, Alexei Navalny, recentemente eletto a capo del Comitato interno attraverso le primarie telematiche del 20 ottobre, mai ha mancato l’appuntamento con le celebrazioni richiamanti all’unità popolare e mai ha nascosto le sue simpatie per gli orgogliosi striscioni (“Russia for the Russian”) dietro i quali le teste rasate srotolano le loro frustrazioni. Le basi di reclutamento del galoppante nazionalismo, costituite dagli stadi e dai movimenti ultras che in essi prendono vita, varcati i cancelli sportivi, silenziosamente si ingrossano al loro debutto in società. Pensare che i deprecabili sentimenti xenofobi, nella Patria del nazionalismo di Stato, si limitino a ridotti settori della società sarebbe infatti un errore. La capillare diffusione del fenomeno manifesta tutta la propria reale portata in occasioni quali la ricorrenza della scorsa domenica. Un’opposizione, da una parte, dichiarante le proprie intenzioni di riforma democratica dello Stato e, dall’altra, battezzante i fanatici cortei sbandieranti simboli anti-semiti e neo-nazisti, dimostra la naturalezza dello sdoganamento nella società dei sentimenti identitari e del loro radicamento. L’ennesima partecipazione alle manifestazioni di Alexei Navalny, riservatosi il pudore di non sfilare in prima fila (come in altre occasioni), apre questioni sulla sostanza della democraticità dei cambiamenti di cui si fa promotore. Egli, pur conoscendo il proprio ruolo di interlocutore privilegiato in buona parte dei salotti diplomatici, non ha evitato le annuali scorribande delle teste rasate, delegittimando così la sua immagine agli occhi di chi, all’estero, si premura nel sostenere il suo sforzo di opposizione ad un regime ingordo di potere e di controllo.
La naturalezza nello sdoganamento dei sentimenti xenofobi, e il loro esteso radicamento all’interno della società, è stata riaffermata inoltre, il mese scorso, dalla pubblicazione del manuale “Guida per Lavoratori Immigrati” (http://spbtolerance.ru/media/2012/09/vostok-zapad-rus.pdf) da parte delle autorità locali pietroburghesi. Il documento, redatto dall’Ong “Sguardo al futuro” su commissione del Comune, possedeva lo scopo di illustrare agli immigrati centro-asiatici (è stato distribuito, oltre che in russo, in tagico, uzbeko e kirghizo) pratiche di buona condotta volte a facilitare la loro integrazione nella società russa. Ciò che crea sgomento, oltre alla perplessità suscitata dall’indicazione di alcune pratiche di comportamento da tenere in pubblico (evitare di indossare vestaglie o tute sportive abbinate a scarpe laccate, evitare di stare accovacciati sui talloni per strada, non cucinare sui balconi o per strada), è la rappresentazione grafica dei personaggi del fumetto-vademecum. Se i premurosi protagonisti russi sono infatti rappresentati con sembianze umane, i laboriosi lavoratori centro-asiatici prendono le sembianze di un rullo da vernice, una cazzuola, un pennello e una scopa, chiaro riferimento al ruolo assegnato loro dalla società russa e pesante etichetta di benvenuto difficilmente removibile.
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[ad]Il naturale sdoganamento attraverso cui i sentimenti xenofobi invadono la sfera pubblica non pone però, unicamente, il problema della discriminazione subita dai 10-12 milioni di migranti che, ogni anno, varcano i presidiati confini della Federazione Russa. Coinvolge infatti, soprattutto, le intricate dinamiche interne alla futura leadership russa. Se gli ostinati tentativi dell’opposizione, volti a sradicare il decennale insediamento al Cremlino dell’entourage putiniana, andassero a buon fine, il paese si troverebbe infatti a celebrare una nuova ed esasperata liturgia del nazionalismo. Pur non alterando una società che, ancor oggi, orgogliosamente sguazza nei fiumi di sangue versati dagli eroi della patria e pur non intaccando gli intonsi equilibri interni imbevuti nelle sangue-santiere dei martiri devoti alla magnificenza della madre patria, ciò aggraverebbe le complicate relazioni internazionali di cui il paese è attore co-protagonista. L’affermazione di un nazionalismo esasperato coinvolgerebbe infatti dinamiche inerenti il ruolo che la Russia gioca, e continuerà a giocare, sulla plancia dello scenario geo-politico europeo, intaccando le già precarie relazioni continentali e rimandando, ulteriormente, i necessari processi di riforma interni. Al fine di non incappare in bizzarre rappresentazioni ritraenti i leader europei nelle vesti di poveri mendicanti di gas e risorse minerarie, opportuno diventerebbe, quindi, condannare sul nascere le orripilanti performance offerte dal nazionalismo di piazza versione quattro novembre e ripensare alla reale bontà dei suoi leader.