L’election day viene inaugurato dal primo pareggio. A Dixville nel New Hampshire – uno dei tanti Stati in bilico in queste presidenziali – è finita 5-5. Romney e Obama appaiati, quando 4 anni fa gli equilibri erano nettamente a favore del presidente: con McCain finì 15 a 6 in favore del democratico. Nel suo piccolo un termometro del too close to call che potremmo vivere questa notte a spoglio in corso in Florida, Pennsylvania, Virginia e in altri Swing Staes.
[ad]Al tempo stesso la spia d’allarme di un calo dell’affluenza rispetto a Usa 2008. Nessun dramma, gli americani – sia gli elettori che i politologi più scafati – non si strapperanno i capelli: l’abitudine è di avere una partecipazione al voto inferiore al 50%. Quando la prova di mobilitazione è tale per un fattore storico e di change radicale – tipo la prima elezione di Obama quattro anni fa – si può arrivare al 60%. Un forte deterrente alla partecipazione al voto su livelli europei è sicuramente la data scelta per Costituzione: il primo martedì di novembre dopo il primo lunedì di novembre. Un giorno lavorativo, che non si può disertare: al massimo si può chiedere un permesso per andare a votare.
Proprio per venire incontro agli elettori più refrattari negli Stati Uniti questa “anomalia” costituzionale – giustificata storicamente quando l’America era una nazione agricola e per spostarsi dalle campagne alle città con seggi elettorali si potevano impiegare due giorni – è il fenomeno dell’early voting. Non facciamoci trarre in inganno dall’anglofonia. Dietro a questa denominazione sta un’estensione del tempo per esercitare del diritto di voto in una forma che già conosciamo in Europa. Chi risiede all’estero, in effetti, ma è cittadino italiano può votare per corrispondenza alcuni giorni prima del giorno delle elezioni nella madrepatria.
Nel Nuovo Mondo si è andati oltre, per togliere pretesti per non andare a votare agli stessi elettori residenti si dà la possibilità di anticipare il voto da due settimane a cinquanta giorni prima. Un elemento che agevola il voto delle minoranze, un segmento elettorale particolarmente prezioso per i democratici e, specialmente, per Obama.
E comparando il tasso di early voting fra le elezioni del 2012 e quelle del 2008 si capisce che il vento è nettamente cambiato. A fronte di un 30,6% di affluenza anticipata di quattro anni fa, secondo i dati di “United States Elections Project” ad ieri i votanti sono calati al 23,9% (dato tarato sul tasso di partecipazione del 2008) su scala nazionale. Un segnale poco incoraggiante a livello complessivo per Obama. Non fosse che ponendo sotto la lente di ingrandimento la battaglia Stato per Stato il responso è molto meno univoco. L’Ohio è emblematico. Qui si sono concentrati gli sforzi maggiori di Obama e Romney e l’early voting è stato lievemente in crescita: 1,8 milioni di votanti contro gli 1,6 del 2008. Non si può conoscere, però, la distribuzione per partito in quanto l’elettore si registra senza dare indicazione di partito.
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[ad]Idem per la Virginia, altro territorio altamente competitivo. Gli early voters sono stati 428 mila contro 474 mila. In misura preponderante democratici o repubblicani? Non è dato saperlo. Nella distribuzione per classe d’età e genere, invece, si può affermare che gli anziani e le donne sono stati i gruppi che meglio hanno risposto alla chiamata al voto anticipato.
Meglio va per la curiosità di analisti e lettori in Pennsylvania, dove, conosciamo oltre al numero di votanti 307 mila contro 192 mila – un incremento superbo – anche la distribuzione degli elettori per partito. Il 42% è registrato democratico, il 46,9% repubblicano, indipendenti l’11,2%.
In Florida, secondo i dati divulgati dal Miami Herald, 4,5 milioni sono stati gli early voters un dato pressoché allineato al precedente e la prevalenza dei democratici è di circa 3 punti (42,9% contro 39,1%) esattamente come 4 anni fa.