Ormai è un must: la legge elettorale da cambiare a fine legislatura. Ci siamo abituati, in Italia, molto meno da altre parti (in Germania ed in Francia la legge elettorale vigente resiste, con qualche modifica in itinere, dalla seconda metà degli anni ’50, in Inghilterra si deve andare ancor più indietro) ma tant’è, ecco che ci troviamo davanti all’ennesimo ritocchino.
[ad]Con il via libera della commissione Affari Costituzionali del Senato, è stato approvato un emendamento alla legge elettorale attuale che prevede che per conquistare il premio di maggioranza si debba superare una soglia del 42,5% per ‘conquistare’ un premio del 12,5%. Le modifiche alle attuali norme, già contestatissime, sono quindi considerevoli. Fino ad oggi infatti il premio del 54% dei seggi veniva assegnato ‘in toto’ al partito o coalizione che raggiungeva la maggioranza relativa. Per semplificare: anche una coalizione con il 20% può (fino all’eventuale approvazione definitiva della modifica) avere accesso al premio dei 340 seggi alla Camera.
Lontanissime all’orizzonte le ipotesi di cambio prospettate, non più di 20 giorni fa, da Giovanni Sartori, che ribadiva ancora una volta – come fa da almeno un ventennio sull’argomento – la bontà del “sistema maggioritario a doppio turno (che funziona bene da sempre nella V Repubblica francese)”. Questo perché il sistema francese “è, al primo turno, come un sistema proporzionale: ogni elettore esprime liberamente la sua prima preferenza e, così facendo, immette la sua scelta nel meccanismo elettorale. Meccanismo che conta i voti, che scarta le preferenze dei meno, e che ovviamente non è comprabile”.
Quella del doppio turno alla francese, però, è sempre stata una chimera di tecnici politici poco apprezzata dai partiti e dalle segreterie. Ma se il mantenimento di un proporzionale corretto rientrerebbe ancora nelle opzioni comprensibili, anche se scarsamente apprezzabili, è l’arrivo alla quota del 42,5% che rende il tutto ancor più grottesco. Questa cifra, con tanto di decimale, appare infatti il frutto di un accordo a tavolino tra più parti (per ipotesi, tra chi sosteneva il 40% e chi il 45%) che rende il tutto – se possibile – ancor più ridicolo di quanto già non sia; e lo stanco balletto delle reazioni, con i “partitini” che esultano consci del loro peso nella formazione di improbabili coalizioni di governo (pre o post voto?), ne è l’ennesima conferma.