Berlusconi contro tutti: la probabile efficacia di un novello CLN
Nei primi giorni di dicembre è stato Pierferdinando Casini a proporlo (o minacciarlo) apertamente per la prima volta.
[ad]Negli stessi giorni il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero concordava affermando: «Ci alleeremo anche col diavolo pur di sconfiggere Berlusconi» [l’Unità, 9 dicembre, pag. 17]. Stiamo parlando del cosiddetto “fronte democratico”, una sorta di “Comitato di Liberazione Nazionale” dei nostri tempi: un’alleanza ampia come non se n’erano mai viste, dall’Udc ai comunisti – da far impallidire persino l’Unione prodiana versione 2006. Lo scopo? Far di tutto per frenare un eventuale colpo di mano di Silvio Berlusconi, il quale, dovesse far precipitare la situazione ad hoc per andare ad elezioni anticipate, potrebbe così “scremare” la sua maggioranza delle ultime sacche di resistenza che ancora gli creano problemi (i cosiddetti “finiani”, più qualche voce solitaria), in modo da procedere tranquillamente con la revisione della Costituzione a colpi di maggioranza. Una revisione che prevedrebbe l’ introduzione del presidenzialismo, o comunque di un significativo rafforzamento del capo dell’esecutivo, e un ulteriore indebolimento del ruolo del Parlamento, per la verità già abbastanza mortificato oggi. Abbastanza perché questo disegno sia inviso tanto ai centristi quanto alla sinistra radicale.
Tanto Casini quanto Ferrero hanno infatti molto da guadagnare nel formare una larga coalizione anti-berlusconiana. Entrambi premono da tempo per l’introduzione del sistema elettorale alla tedesca (proporzionale con soglia di sbarramento al 5% nazionale e nessun premio di maggioranza); entrambi, seppur con motivazioni differenti, hanno interesse a ridimensionare il predominio berlusconiano sulla scena politica italiana da un quindicennio a questa parte; inoltre, nel ventilare la coalizione che abbiamo qui definito “fronte democratico”, entrambi hanno chiarito che quest’ultima servirebbe unicamente a vincere le elezioni; una volta fatto ciò, si aprirebbe un periodo di transizione in cui approvare, con o senza l’appoggio dell’opposizione di centrodestra, una serie di riforme, in ordine di priorità: il sistema elettorale alla tedesca, una legge sul conflitto d’interessi, una bozza di riforma costituzionale che superi il bicameralismo perfetto e riduca il numero di parlamentari (una modifica questa che, almeno a parole, mette d’accordo tutti da destra a sinistra). Una volta vinte le elezioni e approvate queste riforme, Casini e Ferrero non avrebbero più alcun interesse a mantenere ulteriormente in vita l’ipotetico governo tecnico di centro-centrosinistra (peraltro il segretario di Rifondazione ha persino dichiarato, in un’intervista a Red Tv, che entrerebbe nella coalizione elettorale ma non in quella di governo, una soluzione apparentemente ambigua ma a suo dire obbligata dal meccanismo delle coalizioni forzose e dei premi di maggioranza previsti dal “porcellum”) e si potrebbe dunque andare a nuove elezioni. In uno scenario come questo, il compito dell’attuale opposizione parlamentare di centrosinistra (Partito democratico e Italia dei valori) sarebbe quello di proporsi come perno centrale di un progetto concreto e realmente alternativo all’anomalia berlusconiana, e contestualmente cercare di non perdere troppi voti verso i “momentanei” alleati di centro e di sinistra.
Ma quale sarebbe l’efficacia elettorale di una simile coalizione? In assenza di sondaggi che chiedono di indicare la preferenza in caso di uno scenario “Berlusconi vs Resto-del-mondo”, dobbiamo rifarci ai dati elettorali effettivi degli ultimi anni. Oggi simuleremo una competizione elettorale di questo tipo basandosi sulle elezioni politiche 2008: da una parte avremo un centrodestra composto dalla coalizione che ha sostenuto Berlusconi nel 2008 (Popolo della Libertà, Lega Nord, Mpa) più La Destra – recentemente infatti non sono mancate dimostrazioni di affetto reciproco tra Berlusconi e Storace; dall’altra parte avremo tutto il centrosinistra versione 2008 (Partito democratico, Italia dei valori, Sinistra l’ arcobaleno e Partito socialista) più l’Udc. Vediamo quindi prima la situazione alla Camera poi quella al Senato.
Alla Camera, le due coalizioni risulterebbero – con i dati 2008 – molto vicine. Ma a vincere sarebbe, anche questa volta, il centrodestra: Pdl, Lega, Mpa e La Destra otterrebbero infatti il 49,2% (e 340 seggi) contro il 47,3% (275 seggi) del “Fronte democratico” composto da centrosinistra più Udc. In conseguenza di ciò, i 615 seggi della Camera relativi alla circoscrizione nazionale unica sarebbero ripartiti come segue:
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[ad](NB: il totale effettivo della Camera è di 630: non sono conteggiati infatti il seggio della Val d’Aosta, i seggi ottenuti dal Svp nelle province autonome di Trento e Bolzano e i 12 deputati eletti all’estero)
Vediamo quindi che, nonostante la vicinanza in termini di percentuali complessive ottenute dalle due coalizioni, il centrodestra avrebbe comunque, grazie al premio di maggioranza nazionale del 55%, un’ampia maggioranza alla Camera – così come avvenuto all’Unione di Prodi nel 2006.
Il discorso, come molti avranno intuito, è ben diverso al Senato. Qui, nonostante le proporzioni tra le due coalizioni ipotetiche restino più o meno immutate (49,5 a 47,8 a vantaggio del centrodestra), i premi di maggioranza assegnati a livello regionale causerebbero una situazione molto più instabile, come mostrato dalla seguente figura:
Non bastassero i pochissimi seggi di vantaggio del centrodestra, bisogna anche considerare i 7 seggi dei senatori a vita (in maggioranza “ostili” al centrodestra), gli 8 seggi di Val d’Aosta e Trentino Alto Adige e i 6 seggi delle circoscrizioni estere (per la verità equamente ripartiti anch’essi tra centrodestra e Fronte democratico), non mostrati nel grafico.
In particolare, il centrodestra vincerebbe il premio di maggioranza in sette regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Campania, Puglia e Sicilia) e il Fronte democratico in dieci (Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Basilicata, Calabria e Sardegna), risultando maggioritario anche in Molise (che però assegna solo due seggi, dunque uno per parte).
In definitiva, alla domanda se un eventuale “Fronte democratico” sarebbe efficace, non solo per scongiurare una nuova imposizione di Berlusconi e dei suoi alleati più fedeli, ma soprattutto per ottenere una maggioranza con un minimo di autonomia, utilizzando i dati delle elezioni politiche 2008 la risposta è decisamente un “no”.C’è però da fare un’importante considerazione: è vero che i dati 2008 sono attendibili per una stima di questo tipo, in quanto ci dicono immediatamente, senza bisogno di “spostare” dati da un partito all’altro, quanti avrebbero votato “per” Berlusconi e quanti “contro” di lui in uno scenario appunto da “Silvio contro tutti”; ma è vero altresì che i dati delle Politiche 2008 furono il risultato di un clima totalmente differente da quello che sarebbe lecito aspettarsi oggi: all’epoca c’era la necessità percepita, da parte di gran parte dell’elettorato, di superare l’esperienza, giudicata negativa, del governo Prodi. Difficile dire se, una volta forzata la mano, Berlusconi troverebbe nuovamente il consenso della maggioranza degli elettori. Senza contare l’incognita derivante dalle eventuali scelte di Gianfranco Fini e di quella parte (sia pur molto minoritaria) del Pdl che non si riconosce interamente in Silvio Berlusconi.
Per questo, allo scopo di simulare dei rapporti di forza più verosimili nell’ambito di uno scenario simile, sarebbero più appropriati i dati di elezioni più recenti. E nel prossimo articolo vedremo dunque che risultato darebbe l’ipotetico scontro Centrodestra-Fronte democratico con gli stessi dati avutisi alle Europee 2009.
Salvatore Borghese