Ucraina, la pochezza del FEMENismo e l’abbaglio europeo

Pubblicato il 10 Novembre 2012 alle 18:05 Autore: Marco Residori
ucraina

Le descrizioni e le rappresentazioni di società lontane, altre, sconosciute, procedono attraverso relazioni sineddotiche. Tra le milioni di immagini disponibili, forzatamente ricondotte alle poche ritenute significative, viene compiuta un’operazione di scelta, di selezione, volta a proporre una semplificazione chiarificatrice dei caratteri propri di una società.

[ad]Così l’immagine di un’arrogante società a forte vocazione maschilista e patriarcale viene raffigurata, sui media occidentali, dalle fotografie di quattro giovanotte denudate, rivendicanti il proprio ruolo egemonico nella difesa dei diritti delle donne e nel processo di emancipazione della nuova generazione ucraina. Se chi buca lo schermo dipinge, però, marginalmente le tinte della società di provenienza, evidente risulta la distorsione della rappresentazione proposta. Il successo di Femen, infatti, nulla deve alla bontà delle iniziative intraprese in patria, emerite di un inesistente coscienzioso sconquasso interno alla condizione femminile ucraina, e al loro fare presa sulle giovani donne. Contrariamente, tutto deve, a due fattori-a-specchio strategicamente studiati. L’abilità nell’uso della rete. La malconcia condizione del femminismo europeo. Le militanti bandierine internazionali, in costante aumento, indicanti l’apertura dei circoli del nuovo femminismo 2.0, denunciano il velato obiettivo delle giovani fondatrici del movimento: consenso e popolarità personale. La rete, casa-base del movimento, svela tutta la nudità delle regine. Se le tenaci stripper avessero infatti l’intenzione di impattare, in maniera importante, sulla nuova generazione ucraina, difficilmente ricorrerebbero a strumenti quali i social media nel diffondere i propri messaggi. Internet, e in particolare i social media, hanno infatti in Ucraina una diffusione, seppur crescente, ancora ampiamente limitata alla popolazione urbana e colta, meno radicata nei diffusi modelli patriarcali e maschilisti.

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La popolarità di Facebook e Vkontakte, dovuta al loro profilo di social personali, impiegati quindi al fine di diffondere e condividere le proprie storie ed esperienze con la cerchia di amici virtuali, stona con l’uso più nobile, di impegno politico, a cui chiamano le adunate di Femen. Twitter, inoltre, ampiamente utilizzato dal movimento e deputato maggiormente a scopi collettivi e di impegno, ha una presa, ancor oggi, sostanzialmente insignificante su buona parte della nuova generazione ucraina. Risultato: Femen, anche tra le giovani avanguardie intellettuali ucraine, non gode né di stima né di successo. E allora chi, se non lo scoraggiato pubblico femminista europeo, costituisce il diretto destinatario dei suoi messaggi? La plancia del nuovo Risiko femminista vede infatti, compiaciutamente, aumentare i propri carrarmatini-circoli, conscia dell’abuso compiuto sulla prolungata debolezza e sulla carenza di vedute del femminismo europeo. Un femminismo, oramai patrimonio esclusivo di annoiate signore che, nella comodità dei propri adornati salotti, degustando liquori, rinvia la propria fine politica ringiovanendo sempreverdi slogan. Un femminismo tentante, anzi, di accattivarsi ripetutamente, con il fascino da donna vissuta che lo contraddistingue, le nuove generazioni che lo  avvicinano. Creante, infine, nel disperato tentativo di non perdere il proprio residuale ruolo nell’opinione pubblica, stanche iniziative quali collettivi editoriali o pseudo-tali e processioni in memoria di ciò che più non esiste  ma che, fintamente, deve essere tenuto in vita. Femen, presa aquinata coscienza di ciò, grazie ai plurimi inviti ricevuti dalle arrancanti sezioni del femminismo europeo, è stato capace di cavalcare la stanchezza e il logoramento delle femministe europee, imponendo il proprio ruolo egemonico nella difesa universale dei diritti delle donne. E come lo ha fatto? Le argomentazioni non mancavano sicuramente. Per esempio, al posto di denudare i propri corpi denunciando la nudità delle proprie menti, avrebbe potuto, guardando alla situazione del proprio Paese, citare il sacrificio della popolazione femminile adulta, costituente la quasi totalità della popolazione migrante e garantente, grazie al sodo lavoro, futuro ai percorsi educativi e professionali dei propri figli, ivi incluse loro e la loro libertà di berciare slogan in giro per il mondo.

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L'autore: Marco Residori

Marco Residori, studente presso il corso di laurea "Mass media e Politica" della facoltà di Scienze politiche "Roberto Ruffilli" (unibo), nato nel 1988 e cresciuto a Milano. Aree di interesse/ricerca: sociologia dei consumi culturali e comunicativi, zone di frontiera tra ue-nuova europa (nuove russie e balcani) attualmente vive in Ukraina. Il suo blog personale è "Crossbordering"
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