Caucaso, interminabile palcoscenico di guerra
[ad]Questa è la nuova frontiera del conflitto tra il Cremlino e le regioni indipendentiste della Russia Meridionale. Ristabilita la vetrina cecena, grazie all’insediamento di Ramzan Kadyrov, presidente-palazzinaro ricostruttore del lifting urbano di Grozny City e sedante le militanti spinte degli estremisti islamici, la Russia ha re-indirizzato le proprie mire verso il Daghestan, ad oggi la regione più instabile del Caucaso del Nord. Nonostante la costituzionale facoltà di nominare i Presidenti delle regioni autonome, l’uomo scelto da Mosca a Makhachkala, Magomedsalam Magomedov, non sembra stia riuscendo a sedare i sempre pimpanti animi delle agguerrite fazioni dell‘islamismo radicale. La lotta, tutta interna, tra la maggioranza governativa sufi e la minoranza insurrezionalista salafita, ha prodotto infatti, nell’arco negli ultimi mesi, un’escalation di violenza. Il 29 ottobre è stato ucciso, nella città di Derbent, l’imam Kalimulla Ibragimov, aggiuntosi all’annuale lista annoverante gli omicidi di quattro altri capi religiosi. Egli, descritto come vicino all’ala salafita, aveva tenuto, nelle ultime settimane, sermoni incoraggianti una conciliazione religiosa capace di restituire stabilità al Daghestan. Proprio a causa del suo testamento politico-religioso, i tentativi di individuazione dei mandanti dell’omicidio, si sono notevolmente complicati. Tre sono le piste aperte. Frange dell’islamismo radicale, non approvanti le nuove posizioni moderate dell’imam e, consequenzialmente, eliminantelo con la sentenza di traditore. Figure di secondo piano dell’islamismo moderato, vendicanti le precedenti esecuzioni salafite degli imam Zainutin Daiziyev (a Kadar), Magomedkamil Gamzatov (a Makhachkala), Ashurulav Kurbanov (vicino a Kyzliar), Gitinomagomed Abdulgapurov (a Buinaksk). Settori dei servizi segreti federali, auspicanti un incremento dell’instabilità regionale e un conseguente inasprimento dei conflitti interni tra le opposte fazioni musulmane, indebolenti il fronte anti-moscovita. A metà ottobre, Putin, ha inoltre disposto la reintroduzione, nel Caucaso Settentrionale, del seppellito regime antiterrorismo, revocato nel 2006 a conclusione del secondo conflitto ceceno. Il ripensamento del Presidente russo sembra, quindi, voler pubblicamente riaffermare l’interesse del Cremlino nell’area. Se le ricchezze dei giacimenti petroliferi ed energetici, oltre alle ingenti risorse minerarie, costituiscono la costante delle rivendicazioni di Mosca nella regione settentrionale del Caucaso, cambiati sembrano essere gli obiettivi delle popolazioni locali. Assodata l’impossibilità di giungere alle Indipendenze regionali, i gruppi militanti si sono riorganizzati trans-regionalmente intorno ad un nuovo pan-islamismo, con l’intenzione di ri-creare l’Imamato del Caucaso e ottenere così, indirettamente e congiuntamente, l’indipendenza dalla Federazione Russa. Le sorti di un conflitto, che a lungo durerà, risultano oggi di difficile definizione. In un articolo sulla Novaya Gazeta, il 3 gennaio 2000, Anna Politkovskaya scriveva “sono certa che quando apriremo gli occhi, sarà sempre troppo tardi”. Ancora oggi, unica sconsolante costante tra le molteplici instabilità del Caucaso Settentrionale.