«Lo sforzo è stato molto grande, anche se abbiamo già una certa esperienza nel settore. Abbiamo impiegato 1760 operatori da inviare nelle singole sezioni per registrare i dati elettorali, a cui si devono aggiungere un 10-15% di riserve e infine tutti gli operatori telefonici che dalla sede dell’istituto hanno recuperato i dati dettati dalle singole sezioni elettorali. Quindi considerando ricercatori, direttori di ricerca, operatori sul campo, operatori telefonici e supervisori possiamo dire che abbiamo fatto lavorare circa duemila persone».Abbiamo visto questa sinergia con Pragma, che è un’altra società di ricerche di mercato. In cosa è consistita la collaborazione?
«Noi abbiamo una grande esperienza di ricerche in ambito politico, loro dispongono di un call center molto efficace e hanno messo a disposizione gli operatori per il recupero dei dati dal territorio. Con loro, poi, collaboriamo spesso per l’esecuzione di sondaggi pre-elettorali, che sono molto utili laddove non si facciano exit poll per arrivare alla lettura delle proiezioni con un minimo di percezione dei trend sui candidati e sulle liste».
Quindi avete fatto dei sondaggi pre-elettorali subito prima delle proiezioni?
«Assolutamente sì e sono stati poi confermati dai dati effettivi, anche se si trattava di fotografie a due, tre o quattro giorni prima del voto e non avevano un intento solo previsivo».
Spesso al Sud il comportamento di voto è più volatile: anche lì c’è stata una conferma?
«L’obiettivo del sondaggio è quello di dare un orientamento; bisogna tenere presente che il tasso di rifiuto, cioè di coloro che non restituiscono il voto al telefono, va progressivamente aumentando e nel Meridione il tratto è particolarmente evidente. Nella nostra esperienza il caso più critico è quello della Calabria, ma la fotografia restituita dal sondaggio era comunque quella di uno Scopelliti fortemente davanti».
Chi è stato il committente delle proiezioni?
«Rai e Mediaset, che hanno potuto così ridurre i costi per ottenere di fatto la stessa informazione. Mi è sembrato un fatto positivo soprattutto da parte della Rai, dal momento che il cittadino si è trovato a pagare di meno per questo servizio».
L’accordo riguarderà anche le prossime tornate elettorali?
«No, si riferiva soltanto alle Regionali: presumo che per i prossimi appuntamenti si farà una gara come al solito. In genere la Rai invita 7-8 istituti e poi sulla base di parametri tecnici ed economici valuta quello che ritiene il migliore».
Masia, noi l’abbiamo conosciuta essenzialmente nel 2006 come direttore della Nexus, quando curò gli exit poll e le proiezioni sulle elezioni politiche. Poi l’anno scorso il lavoro con Dinamiche per le Europee. A cosa si deve l’evoluzione del suo lavoro e delle agenzie che ha diretto?
«Il mondo delle ricerche di mercato, al di là delle grandi multinazionali, è sempre in fermento e in evoluzione, sicché gli istituti di media dimensione procedono spesso a cambiamenti di strategia, di organizzazione, di marchi. Per quanto mi riguarda personalmente avevo già lavorato nel 2004 e nel 2005 con exit poll e proiezioni e già da prima in CIRM, però il 2006 è stato l’anno in cui ho avuto la maggiore esposizione, anche perché quelle sono state elezioni molto particolari in cui la coalizione vincente si è affermata per lo 0,07%. Lì si va oltre la statistica, anche se al di là dell’exit poll le proiezioni sin da subito hanno detto che si andava verso una situazione di grande incertezza, considerato il margine d’errore associato al risultato».
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[ad]Abbiamo introdotto il tema exit poll. Perché in Italia non si possono fare? Abbiamo visto in Germania domenica, in Gran Bretagna la settimana scorsa risultati assolutamente in linea col dato finale. Cosa c’è di diverso nel nostro Paese?
«In Italia c’è una minor cultura di fronte alla statistica e c’è un tasso di istruzione complessivamente molto più basso rispetto al resto dell’Europa. Ne consegue che c’è un maggior sospetto davanti a rilevazioni di questo tipo e questo si traduce in un tasso di rifiuto straordinariamente consistente soprattutto alle elezioni politiche».
Quanto consistente?
«Le dico questo: prima del 2006 non mi era mai capitato di errare le previsioni degli exit poll. Nel 2006, complice l’affluenza molto alta, abbiamo registrato un tasso di rifiuto più alto di qualsiasi altra elezione: il 120%. Significa che su cento persone che aderivano al sondaggio centoventi rifiutavano. E i rifiuti hanno una distribuzione socio-demografica e professionale che in parte può essere restituita dalla ponderazione, ma in alcuni casi la pesatura non riesce a dispiegare la sua efficacia. Evidentemente casalinghe, pensionati o altre categorie che rifiutano la scheda dell’exit poll non sono scambiabili con quelle che la accettano. Se poi sommiamo che normalmente c’è un margine d’errore intorno al 2%, è chiaro che se dico che una coalizione vince di due punti e mezzo il dato è rischioso di per sé.
Detto questo io sono convinto che in occasione di elezioni europee, regionali o comunali l’exit poll mantenga una sua efficacia. Per quanto riguarda le Politiche, invece, alla statistica bisogna aggiungere un po’ di mestiere, nel senso che la storia ha insegnato che il partito di Berlusconi ha sempre preso di più rispetto all’exit poll. Però questa non è più un’analisi statistica, è fiuto: potremmo per esempio prendere il dato del PDL e aggiungere due punti, togliendoli dal centrosinistra. Ma non si tratterebbe di un’operazione professionale».
Anche il continuo cambiamento di liste, simboli e coalizioni non aiuta.
«Certo, a differenza di altri stati cambiano modalità di voto e partiti. Ecco che la ponderazione, che lavora sul dato storico, ha una sua fragilità nel momento in cui le persone talvolta non si ricordano neanche cos’hanno votato essendo cambiate le liste da un anno all’altro. Non è solo colpa dei sondaggisti: se avessimo solo i democratici e i repubblicani il nostro lavoro sarebbe molto più semplice.
E poi c’è l’aspetto dell’affluenza: in Italia alle Politiche vota l’80% o più, un’affluenza così alta che include probabilmente una quota marginale di elettorato che invece alle amministrative non vota e che non vota neanche in Gran Bretagna o Germania, dove l’affluenza è intorno al 60-65 per cento.
«Esatto, sono spesso pensionati o casalinghe che in genere disertano il voto amministrativo e spesso rifiutano di partecipare all’exit poll. E anche quando partecipano alle volte non indicano il voto passato, perché magari non se lo ricordano».
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[ad]Ha detto che è comunque convinto della validità dello strumento. Pensa però che da parte dei committenti sia morta e sepolta l’idea di commissionare un exit poll in Italia?
«Penso proprio di sì. I seggi chiudono alle 15 del lunedì e le prime proiezioni escono poco dopo le 16, quindi non sempre il gioco può valere la candela dal punto di vista del committente».
Quale può essere il costo di un exit poll nazionale?
«Mi fa una domanda complessa. Tenga presente che bisogna organizzare almeno due o tre turni di persone che stanno fuori dai seggi, più la trasferta, l’organizzazione dei materiali, le telefonate. Insomma, si può dire sicuramente diverse centinaia di migliaia di euro. Probabilmente alle Europee basterebbe un campione più ridotto, ma alle Politiche, con il Senato su base regionale, bisogna fare campioni per singole regioni e i costi salgono».
L’individuazione dei seggi nell’exit poll andava di pari passo con quella per le proiezioni?
In passato sì, con due logiche diverse: l’exit poll è un sondaggio all’uscita del seggio, quindi intervistavamo le persone che via via uscivano dal plesso scolastico con una logica 1 a 5. Il nostro operatore contattava la persona e se questa si rifiutava passava alla quinta persona immediatamente successiva, per evitare di scegliere le persone in modo discrezionale. Per quanto riguarda invece le proiezioni, all’interno dei plessi in cui si realizzava l’exit, venivano selezionate una, due o massimo tre sezioni. L’exit poll lavorava sul seggio, la proiezione sulle singole sezioni».
Senza andare troppo nel dettaglio, la modalità di individuazione delle sezioni per le proiezioni si basa su un ragionamento di tipo storico – se il dato di sezione è in linea con quello generale – oppure su una considerazione socio-demografica – la sezione rappresenta in piccolo per età, istruzione, sesso l’elettorato complessivo -?
«In Italia utilizziamo il metodo storico, anche perché è difficile individuare i parametri socio-demografici se non tramite sondaggi. La logica è quella di definire un numero di sezioni, per esempio 120 per una regione, che poi spalmiamo all’interno delle singole province e in seguito scegliamo quelle sezioni che, nell’insieme, mi ricostruiscano perfettamente le elezioni precedenti, ad esempio le ultime politiche ed europee, con un margine dello 0,1-0,2 per cento su base regionale e del massimo 1 per cento su base provinciale. In questa tornata abbiamo scelto 1760 sezioni articolate nelle tredici regioni.
Quindi a essere rappresentativo è il gruppo, non ciascuna singola sezione.
No, in genere ragioniamo con il meccanismo del cluster: possiamo raggrupparle per provincia nel caso di elezioni regionali, o per quartiere nel caso di elezioni comunali, dove comunque la disomogeneità è minore».
Si parlava di margini d’errore e di oscillazioni. In genere si dice che l’intervallo per le proiezioni è inferiore ai 2 punti, 1-1,5 per cento. Spesso però le prime proiezioni presentano dati anche significativamente diversi da quello conclusivo: alle comunali 2006 a Torino ci fu un’oscillazione vicina ai 10 punti, in Campania quest’anno la terza proiezione EMG assegnava 18 punti di margine a Caldoro che ha poi prevalso di 11. Qual è il motivo di queste oscillazioni?
«Innanzitutto è possibile che l’afflusso delle sezioni sia disomogeneo rispetto al territorio complessivo. Può succedere che, anche con una copertura del 30%, molte sezioni provengano da particolari aree con una storia politica ben precisa. Per esempio, se in Liguria ho un campione di 100 sezioni e me ne sono arrivate 30, di cui 25 da Imperia e 5 da La Spezia, è chiaro che il dato ha dei limiti congeniti che si sommano al margine d’errore».
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[ad]Può dipendere anche da errori nella rilevazione dello scrutinio?
Diciamo che in alcuni casi c’è un po’ di difficoltà, da parte dei presidenti di seggio, nell’applicare correttamente il trascinamento dalla lista al candidato presidente. Se voto un partito la preferenza va estesa direttamente anche al candidato, ma non sempre il meccanismo di conteggio è privo di errori. Poi ci sono le schede contestate, che possono essere assegnate o meno. Qualche sbaglio può esserci e pesare sul nostro campione».
I vostri rilevatori trasmettono solo i risultati acquisiti oppure anche dati parziali dopo 100 o 200 schede?
«Per esigenze di velocità dobbiamo basarci anche su dati parziali e questo può influire specie all’inizio, nel senso che il campione diventa campione di un campione. Teniamo presente però che questo metodo possiamo usarlo solo nelle sezioni in cui il presidente di seggio non fa le cosiddette mazzette, cioè non ammucchia le schede ma le scrutina una per una come sarebbe previsto dalla legge. E l’evenienza si verifica in circa la metà dei casi».
Pensando alle ultime Regionali mi vengono in mente un paio di casi. In Piemonte le proiezioni erano arrivate a dare a Cota 3 punti di margine, ha poi vinto dello 0,4 per cento. Nel Lazio invece avevano fatto discutere le prime stime che assegnavano parità assoluta tra Bonino e Polverini. In quest’ultimo caso c’era la volontà di cautelarsi, senza esporsi sin dall’inizio?
«Premetto che nel complesso l’errore medio dell’ultima proiezione è stato dello 0,2%, quindi molto basso. Nel caso del Piemonte l’ultima stima dava Cota davanti di poco più dell’1%, mentre le prime probabilmente erano influenzate dal fatto che in quella regione erano presenti più di trenta liste. Per quanto riguarda invece il Lazio noi in genere usiamo due pesature: le elezioni politiche e le elezioni europee. Le prime stime risentivano del fatto che la ponderazione sulle politiche dava +0,4 Bonino e quella sulle europee +0,4 Polverini: il dato non si era ancora stabilizzato e non eravamo nelle condizioni di indicare una direzione precisa. Non appena le ponderazioni si sono stabilizzate abbiamo sciolto la riserva».
Una postilla sull’accesso ai dati. In Italia non sempre è facile, dipende molto da comune a comune: ce ne sono di ben organizzati e di male organizzati.
«Il problema è che il dato delle singole sezioni elettorali non è centralizzato e quindi bisogna necessariamente passare dalla rete comunale. Questo non si traduce tanto in costi per il rilascio dei dati, perché a parte pochissimi comuni che richiedono una piccola quota vengono rilasciati gratuitamente. Il problema è dover mettere in moto una macchina di quattro o cinque persone che si metta a chiamare tutti i comuni, generando un impiego di risorse, di tempi, di telefonate e di fax».
Ultima domanda sul voto disgiunto: le tabelle di scrutinio non lo registrano, voi con le vostre proiezioni siete in grado di farlo?
«Noi non lo registriamo, perché ci limitiamo al totale di voti assegnati alle liste e ai candidati. Quantomeno, non ci siamo ancora industriati per conteggiare anche il voto disgiunto. In effetti ci si potrebbe pensare, però questo implicherebbe velocizzare il lavoro dei nostri operatori in giornate che tendono a essere già abbastanza convulse: il mio timore è che segnare anche dati collaterali, come il disgiunto o le preferenze, potrebbe rallentare la trasmissione dei dati».