[ad]Segnatevi questa banalissima sequenza numerica: 10-11-12. Che poi sarebbe la data di ieri. Il vocabolario delle disfide politiche del Paese si arricchisce ufficialmente della voce “Samorì”, con l’accento che sta lì a chiudere ogni possibilità di continuare a pensare il discorso così come l’avevamo immaginato fino ad oggi. Il discorso, per intendersi, è giovane la storia del centro-destra in Italia.
E’ successo che ho dovuto alzarmi da tavola e portare il mio piatto di riso in salotto per capire se quello che le mie orecchie sentivano, lo vedevano anche i miei occhi. Ma non è stato qui che ho smesso di mangiare. Nel pieno della fase di stanca dello show politico, dove la tv è costretta a farsi in vena di dibattiti placebo parlando di chi in tv – quel tale, Grillo – non ci vuole andare, ha fatto improvvisamente irruzione un individuo in giacca e cravatta di cui sentiremo molto parlare. Almeno così mi pare: diciamo che le premesse appaiono esteticamente interessanti.
In Onda (La Sette) dedica i suoi ultimi spiccioli di trasmissione – di sabato sera alle 22.30 – all’intervista. Come spesso accade con questo genere di novità, esse giungono televisivamente per caso. Cioè questo tale che ora posso solo chiamare Samorì (per il quale un giorno forse avrò un sacco di sinonimi da utilizzare: il presidente, il leader dell’opposizione, il capo, il premier, Lui), ecco dicevo questo avvocato modenese non passava certo di lì per caso. Quello che voglio dire è che i colleghi Luca Telese e Nicola Porro lo avevano palesemente chiamato con un fine diverso da quello che poi si è realizzato. Questo Samorì doveva essere lo zimbello di fine serata, il candidato non candidabile, il presuntuoso, l’ennesimo bruciatino della campagna di sfinimento del Pdl che non si chiamerà più Pdl ma intanto lo chiamiamo sempre Pdl.
Così, grosso modo, era stato introdotto da qualche battuta dei conduttori. E invece. Giacca/camicia/cravatta, tutto appena inamidato e sorriso spavaldo quest’uomo comincia a parlare. E dice delle cose strane, cambia il copione della solita messinscena e snocciola numeri (veri o falsi che siano) che prendono in contropiede i conduttori. Premessa doverosa: io questo Samorì lo conosco. L’ho visto un paio di volte nella facoltà di Giurisprudenza di Urbino, mia città natale. La sua figura mi incuriosiva. Un anno fa gli chiesi persino un’intervista perché arrivava a fare lezione in Bentley, ma non andai all’appuntamento per chissà quale motivo e chiusa la faccenda. Ecco insomma io l’ho visto con i miei occhi ed ero piuttosto scettico sul fatto che costui potesse suscitare interesse nell’elettorato moderato. E invece, inizia a parlare. A dire che lui ha le firme per candidarsi, che le ha già pronte, che bisogna alzare la soglia di queste firme, cosa che detta da un’outsider senza struttura farebbero strabuzzare gli occhi persino a Casaleggio.
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]Ecco è qui che avverto lo stupore di Telese e Porro, mi alzo, porto il mio riso alle verdure con me sul divano. Questo qui ha i tempi televisivi, ribatte colpo su colpo. Rottama Alfano con un colpo di tosse. Snocciola numeri, spiega la sua ricetta per risanare il debito pubblico e far ripartire i consumi. Difende il ceto medio, quello basso, quello “medio basso” (geniale, tutti si sentono medio bassi), si rivolge ai moderati (geniale, tutti hanno bisogno di sentirsi moderati), propone la patrimoniale per i ricchissimi (come lui, ma sorride e si schernisce, spiega che è necessario). Spiega persino che i ricchi “quelli veri” debbono dare il contributo per l’unico motivo per cui un nababbo pagherebbe: “diventare ancora più ricco, fra pochi anni”. Capolavoro, la tassa come investimento. E’ acutissimo, creativo, rassicurante. Smetto di mangiare, ascolto in religioso silenzio. Mi andrebbe di fumare, ma l’accendino è lontano e non riesco a distogliere gli occhi dal nuovo Dalì, quello lì, Samorì.
Non so di cosa abbia bisogno il centro-destra, ma lui (con la ‘l’ ancora piccola) ha capito cosa cercano quelli che stanno guardando la tv, cioè gli elettori, cioè gli italiani, cioè il popolo.
Analisi politica. Si presenta come il nuovo di destra. Con un programma di sinistra (Questo gioco l’ho già visto, senza contare che il riccone che vuol far del bene alle classi meno abbienti è più affascinante del povero che vuol fare del bene ai ricchi); è anziano (maturo via), ma anche nuovo; rassicurante (avvocato di fama), ma anche spregiudicato (prendo i soldi qui, li metto là..); dice la verità (siamo un paese malato), ma dà speranza (so io dove prendere i soldi, azzerare il debito rilanciare i consumi); è amico di Silvio, ma nemico di Alfano. Praticamente il maanchismo senza pronunciarlo. Veltroni gli fa un baffo e non ci vuole un genio per capire che i delusi del centro destra in cerca di Mattei Renzi sono accontentati.
Ecco, da oggi ho un nuovo piatto nel mio ricettario: il riso Samorì, quello che non ho mai potuto finire di mangiare.
di Giorgio Bernardini