Il prossimo 15 luglio, al termine di un’udienza che si preannuncia affollata e interminabile, tre magistrati del T.A.R. Piemonte si pronunceranno sui ricorsi elettorali proposti da alcune forze politiche del centrosinistra contro l’esito delle ultime elezioni regionali.
Nei mesi scorsi, l’atteggiamento del mondo politico piemontese si è mostrato oscillante tra due estremi: quello del sostanziale disinteresse e quello della estrema preoccupazione per il possibile esito positivo dei ricorsi. Entrambi gli atteggiamenti nascono, probabilmente, da limitata comprensione di quello che sta accadendo nelle aule di giustizia.
Tentando di aggirare ogni tecnicismo, e quindi con un certo grado di approssimazione, di cui ci scusiamo in anticipo, cercheremo ora di formulare un pronostico sull’esito dei ricorsi.
[ad]La questione, che vede attualmente impegnati alcuni tra i più stimati professionisti del Foro torinese, tra i quali diversi accademici, è piuttosto complessa sotto il profilo giuridico. In estrema sintesi, la tesi dei ricorrenti è che la consultazione elettorale debba essere ripetuta in quanto falsata dalla presenza di tre liste che non avrebbero dovuto essere ammesse, perché prive di alcuni dei requisiti prescritti dalla legge: la lista Pensionati per Cota, la lista del movimento Verdi Verdi e la lista Scanderebech.
Quanto alla prima lista, sulla quale si è comprensibilmente concentrata l’attenzione dei media, viene essenzialmente contestata la falsità della sottoscrizione delle dichiarazioni di accettazione della candidatura presentate da alcuni candidati, nonché l’invalidità delle relative autenticazioni.
Con riferimento alla lista dei Verdi Verdi si contesta invece, non per la prima volta, la liceità dell’uso di un nome – “Verdi” – che il partito di Pecoraro Scanio e Grazia Francescato ritiene propria esclusiva. La presenza del nome “Verdi” tra le liste schierate con Roberto Cota avrebbe infatti ingenerato confusione negli elettori.
Della lista Scanderebech si contesta invece la modalità di presentazione. Deodato Scaderebech, noto esponente democristiano torinese, si sarebbe avvalso della facoltà, riservata ai capogruppo nel Consiglio Regionale, di presentare una lista priva di sostenitori (le “firme” dei cittadini che dichiarano di sostenere la presentazione della lista) alcuni giorni dopo essere stato espulso dal partito per aver dichiarato il proprio appoggio a Cota (l’UDC piemontese ha sostenuto Bresso). Secondo i ricorrenti, chi non era più esponente del partito non poteva più avvalersi di tale facoltà.
E’ opinione diffusa che il ricorso proposto da Verdi e UDC abbia scarsissime probabilità di accoglimento. Infatti Scanderebech, pur espulso dal proprio partito, era ancora formalmente il suo capogruppo in Consiglio regionale al momento della presentazione della lista e non sembra parimenti plausibile che una lista (Verdi Verdi) la cui denominazione e simbolo sono stati in più occasioni accettati dagli Uffici elettorali in quanto sufficientemente diversi da quelli dei Verdi venga esclusa a posteriori dal Tribunale amministrativo per la stessa ragione.
Le aspettative (e le speculari preoccupazioni) si concentrano quindi sulla lista Pensionati per Cota, che ha eletto un consigliere nella persona del suo capolista, Michele Giovine. Per Michele Giovine, accusato tramite un esposto presentato da alcuni degli stessi ricorrenti, di aver falsificato insieme ad altri le sottoscrizioni dei candidati, è stato disposto il giudizio immediato. Il giudice penale ha quindi ritenuto che le prove a suo carico siano sufficientemente gravi da non richiedere nemmeno il vaglio dell’udienza preliminare. Il processo dovrebbe iniziare a dicembre 2010 ed è prevedibile che gli imputati ricorreranno al patteggiamento.
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[ad]Proprio sulla vicenda penale di Michele Giovine si concentrano le speranze di Mercedes Bresso, ex presidente sconfitta da Cota, la quale, in più occasioni, ha pubblicamente dichiarato di aspettarsi l’annullamento del voto e di ritenere “più probabile” l’annullamento a seguito del rinvio a giudizio di Giovine.
L’esito del processo penale potrebbe rivelarsi, in effetti, l’elemento determinante per l’accoglimento o meno dei ricorsi: vediamo perché.
E’ stata contestata l’ammissione di una lista per la falsità delle firme di accettazione della candidatura. La sottoscrizione dei candidati è autenticata da pubblici ufficiali (in questo caso, lo stesso Giovine e un suo famigliare, consiglieri comunali e quindi abilitati, secondo la legge, a procedere all’autenticazione). La falsità di un atto pubblico, quale l’autenticazione delle firme in questione, può essere contestata solo attraverso un particolare procedimento, denominato “querela di falso”. Nel nostro Paese, il giudice competente a decidere sul ricorso elettorale (il T.A.R.) non è però competente (a causa di una norma ormai antica e anacronistica) a decidere sulla querela di falso, dovendo necessariamente attendere, sul punto, il giudizio di un giudice ordinario, civile o penale.
I ricorrenti, ben consapevoli di questa difficoltà, che comporta un inevitabile allungamento dei tempi del giudizio, hanno prudentemente disposto una azione ad ampio raggio: da un lato, infatti, hanno sostenuto che la querela di falso non sarebbe, nel caso di specie, necessaria, in quanto sarebbe stato provato (dtramite testimonianze rese al P.M. da alcuni candidati della lista di Giovine) che l’autenticazione delle firme è avvenuta al di fuori del territorio del Comune nel quale gli autenticatori sono consiglieri. Nell’autenticare la firma, pertanto, l’imputato non sarebbe stato pubblico ufficiale, rendendo non necessario l’esperimento della querela davanti al giudice ordinario. Senza dilungarsi eccessivamente sul punto, è improbabile che questa eccezione sia accolta: pare infatti che gli autenticatori abbiano “prudentemente” attestato di aver raccolto le accettazioni nel proprio Comune d’elezione, commettendo (secondo gli accusatori) un ulteriore reato, ma rendendo indispensabile la querela di falso (o il giudicato penale) per la sua contestazione. I ricorrenti si sono comunque riservati di proporre – in futuro – querela di falso davanti al Tribunale civile competente, nel caso in cui dal giudizio penale sul reato di falso non venisse accertata la falsità.
Questo è il punto centrale della vicenda, al momento. Il processo penale a carico di Giovine inizierà non prima di dicembre. Potrebbe concludersi con una sentenza che accerta la falsità delle firme e delle autenticazioni, ma è anche possibile (forse probabile) che l’interessato chieda il patteggiamento. Nell’ordinamento italiano – ecco una seconda peculiarità di cui pochi sono a conoscenza – non è necessario, per patteggiare, dichiararsi colpevoli, come accaddrebbe ad esempio negli Stati Uniti. La sentenza di patteggiamento, più correttamente denominata “sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti”, non accerta pertanto la commissione del reato. Nel nostro caso, non accerterebbe la falsità delle firme (anche se sul punto non tutti sono concordi). Di conseguenza, l’esito del processo richia di essere, dal punto di vista del ricorso elettorale, o tardivo (tre gradi di giudizio, se Giovine non ricorrerà al patteggiamento) o inutile (nel caso di patteggiamento).
E’ verosimile, pertanto, che indipendentemente dall’esito del processo penale, i ricorrenti “anti-Giovine” dovranno comunque esperire la querela di falso davanti al Tribunale civile. Ciò comporterà la sospensione del giudizio davanti al T.A.R. fino a sentenza definitiva, con un significativo allungamento dei tempi: anche in questo caso sono possibili, infatti, ricorsi in appello (presso il Consiglio di Stato) e in Cassazione.
Esiste quindi il rischio che, almeno per quanto riguarda il ricorso proposto contro la Lista Pensionati per Cota, il giudizio del T.A.R. non possa intervenire prima di alcuni anni. O addirittura dopo la conclusione della attuale legislatura regionale: nel qual caso, esso sarebbe dichiarato probabilmente inprocedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
Se ciò è vero, volendo azzardare un pronostico sull’esito del ricorso, tale possibilità deve essere considerata in aggiunta probabile rigetto degli altri due ricorsi contro le liste Verdi Verdi e Scanderebech. Appare quindi evidente come le probabilità di un annullamento del voto, deciso dal T.A.R. Piemonte nella stessa serata del 15 luglio, siano piuttosto scarse.
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[ad]Ma le ragioni per le quali è prudente dubitare di un simile esito sono anche altre.
I giudici non si sono infatti ancora pronunciati sulla questione dell’ammissibilità di un ricorso proposto dopo l’esito della consultazione elettorale. Nonostante la legge sia piuttosto chiara sul punto, alcuni sostengono, infatti, che una sentenza della Corte Costituzionale, appena pubblicata, contribuirebbe ad accerescere l’incertezza, aprendo le porte ad un rigetto dei ricorsi per tardività.
Va poi considerato che se il ricorso con maggiori probabilità di accoglimento è quello proposto contro la lista di Michele Giovine, non necessariamente dal suo accoglimento discenderebbe la necessità di ripetere il voto. Il Tribunale potrebbe infatti limitarsi ad annullare le candidature presentate con firme false (o non regolarmente autenticate: questa seconda ipotesi è meno probabile). Dall’annullamento delle candidature di persone non elette, che in molti casi non hanno ricevuto neanche un voto di preferenza, non dipende però necessariamente l’invalidità dell’intera lista, e di tutti i voti dalla stessa raccolti, determinanti per la vittoria di Cota. E’ possibile, infatti, che i candidati “superstiti”, all’esito del giudizio, siano comunque più del numero minimo necessario per la presentazione della lista. In questo caso, l’unico effetto del ricorso sarebbe annullare la candidatura di persone non elette, senza produrre alcuna conseguenza sul risultato complessivo del voto.
In conclusione, i pronostici. Uno a breve termine e uno a lungo termine.
Cominciamo da quello a breve termine. Giovedì 15 il Tribunale dichiarerà i tutti i ricorsi ammissibili, rigetterà quelli proposti contro le liste Verdi Verdi e Scanderebech, perché infondati, e sospenderà il giudizio relativo al ricorso contro Giovine fino all’esito del giudizio penale.
A lungo termine, i tempi del processo penale e della eventuale querela di falso davanti al Tribunale civile difficilmente renderanno possibile una sentenza definitiva del giudice amministrativo (visto il prevedibile ricorso al Consiglio di Stato) in tempo utile per la ripetizione del voto. Ed è anche improbabile che da un accoglimento del ricorso derivi questa conseguenza.
Chi spera in nuove elezioni dovrebbe quindi rassegnarsi.
Da queste conclusioni è difficile trarre una morale. Innegabilmente, due curiose regole del nostro sistema giuridico rischiano di rendere del tutto inefficace la tutela predisposta contro le truffe elettorali in casi come questo. Ma si può anche sostenere – non senza ragioni – che i motivi per i quali il ricorso è stato proposto sono sostanzialmente pretestuosi. La lista Pensionati, è chiaro, raccoglie voti grazie alla forza evocativa del suo nome, piuttosto che alla notorietà dei propri candidati. Di conseguenza, la presentazione di quel simbolo attraverso una lista raffazzonata, composta da famigliari e amici spesso inconsapevoli, potrebbe non essere – in fin dei conti – una ragione sufficiente a invalidare l’esito del voto.
Ai nostri lettori l’ardua sentenza.
Andrea Carapellucci, analista giuridico di TP, si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Torino ed è dottorando in Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano.