Le primarie di Milano, considerazioni

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Domenica 14 Novembre si sono tenute a Milano le primarie per la scelta del candidato sindaco del centrosinistra chiamato a sfidare nella prossima primavera il sindaco uscente Letizia Moratti.

Di seguito i risultati in percentuale: Pisapia 45% – Boeri 40% – Onida 13% – Sacerdoti 1%. La gran parte dei commenti post-voto analizza: il dato basso dell’affluenza, la sconfitta del Partito Democratico, lo spazio politico apertosi al centro dopo la vittoria di Giuliano Pisapia.

[ad]Primo aspetto. Hanno votato circa 67.000 persone. L’81% per cento di coloro che hanno partecipato alle primarie che scelsero Ferrante nel 2006. Elenco una serie di possibili cause: il derby; la pioggia; la scelta di associazioni e movimenti di attendere l’esito delle primarie, magari perché persuasi del fatto che avrebbe vinto Boeri sponsorizzato da un centrosinistra troppo poco di sinistra; un’affluenza attesa fissata a quota 100.000, troppo al di sopra delle reali capacità attrattive e di mobilitazione; l’incapacità dei candidati di convincere una Milano disincantata; niente di tutto ciò o tutte queste motivazioni insieme.

 

Per il bene delle primarie sarebbe consigliabile una diversa e profonda riflessione sulla relazione tra Partito Democratico e primarie. Anche in questa occasione le primarie sembrano rappresentare la sconfitta del maggior partito del centrosinistra. L’interpretazione è giusta. Ma si concilia male con lo spirito delle primarie. Il Partito Democratico, nato solo tre anni fa, è un partito dall’identità ancora appena accennata. Molti suoi elettori, iscritti, simpatizzanti sono molto più a sinistra della dirigenza, o comunque sintonizzati su frequenze diverse. Cosicché, a Milano come in Puglia, la scelta dei dirigenti PD ricade su profili moderati non in linea con chi decide di votare. Risultato: l’indicazione del partito contrasta con le reali preferenze. Pisapia supera Boeri come Vendola supera Boccia. Consiglierei al Partito Democratico un approccio più soft. Il Partito Democratico eviti investiture ufficiali. O almeno lo faccia solo nel caso di candidature ampiamente rappresentative e condivise. A Firenze avrebbe potuto lasciare libera scelta. Invece indicò Lapo Pistelli aprendo vaste praterie al capace Matteo Renzi. In Puglia anziché chiedere all’uscente Vendola di fare il candidato del Partito Democratico lo ha aizzato a crearne uno ex novo a sua immagine e somiglianza. Lasciare libera indicazione di voto trasformerebbe un punto di debolezza del Partito Democratico in punto di forza. E renderebbe più forte l’intero centrosinistra con la moltitudine di sensibilità interne.

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[ad]Ultimo punto. Nella notte in cui in Puglia Vendola ha sconfitto Boccia nel duemilacinque si narra che l’attuale ministro Raffaele Fitto, allora competitore di Vendola, abbia stampato una bottiglia di champagne. Fitto gioiva perché certo che mai i pugliesi avrebbero potuto affidare la guida della Regione ad un personaggio dal “profilo radicale” come Nichi Vendola. Tutti sappiamo come è finita. Nel duemilacinque. Nel duemiladieci Vendola dopo aver sconfitto per la seconda volta lo stesso Boccia alle primarie (vedi punto due “ostinazione dirigenza democratica”) ha vinto le elezioni anche grazie alla presenza di un terzo schieramento capeggiato dall’UDC e dalle migliaia di preferenze raccolte da Adriana Poli Bortone candidata presidente. Sulla falsa riga della candidatura della Poli Bortone in Puglia molti oggi sono pronti a scommettere sulla candidatura di Gabriele Albertini a sindaco di Milano per conto del nascente terzo polo. Stando alle prime dichiarazioni di Giuliano Pisapia si ha come l’impressione che a Milano si potrà ripetere lo schema pugliese del duemilacinque anziché del duemiladieci. Pisapia promette di lavorare alla costruzione di un programma ampio. Magari da sinistra verso il centro. Contro Letizia Moratti su cui peseranno tutte le tumultuose vicende del centrodestra nazionale. La sfida è aperta. Grazie alle primarie.

 

Giuseppe Spadaro