[ad]Il mese scorso, lo State Commitee of Statistics (SCS), ha diffuso i dati sugli investimenti esteri in Ucraina riguardanti i primi sei mesi dell’anno 2012. Registrando un ammontare dei flussi di denaro, entrati nelle casse dell’economia ucraina, pari a 3,2 mld di dollari, l’ente ha sottolineato il decremento del 3,4% rispetto allo stesso periodo di riferimento del 2011. Ha evidenziato, inoltre, la maggioritaria redistribuzione degli investimenti in quattro settori economici: industria – metallurgica, siderurgica, chimica e petrolchimica – (31,4%), istituzioni finanziarie (31,2%), real estate ed intermediari di impresa (16%), commercio e consumo (10,4%). Infine ha presentato la classifica dei 128 paesi che, nell’arco dell’ultimo semestre, hanno intrapreso investimenti in Ucraina. Paese-leader, garantito di riconferma statistica, Cipro. Con i suoi 14,5 mld di dollari, il piccolo Stato mediterraneo, si è nuovamente assicurato il ruolo di primo investitore ucraino. Ma come è possibile che nella quattordicesima economia europea, registrante un Pil pro capite di soli 29 mila dollari, vi siano così tanti imprenditori disposti ad investire enormi cifre in Ucraina? Non è possibile.
Il primato di Cipro tra gli investitori esteri in Ucraina, e il suo corrispondente primato tra i paesi esteri destinatari di investimenti ucraini (90,8%), si spiega nell’incrocio tra industria metallurgica ucraina e sistema fiscale cipriota. Il rodato processo, in costante aumento da un decennio, si delinea come segue. Io, oligarca ucraino nel settore della metallurgia, ho necessità di riciclare parte del mio capitale, frutto di attività economiche illegali, evitando la loro denuncia e la conseguente tassazione. Mi premuro quindi, o a livello personale o attraverso complici amicizie, ad organizzare voli charter privati al fine di esportare in contanti i soldi che necessito ripulire. Arrivo a Cipro e li deposito o su conti cifrati o su conti di prestanomi. Con i soldi, apparentemente profumati, apro un’azienda, o una rete di aziende, sempre attraverso prestanomi, che, investendo direttamente i miei denari nelle imprese metallurgiche in mio possesso in Ucraina, riportano i flussi di denaro nel mio Paese. Dopodichè, dalle mie aziende con sede ucraina vendo, alle commerciali di riferimento a Cipro, i prodotti metallurgici a prezzi pari al loro costo produttivo. Esse infine, acquisiti i metalli, li rivendono ai grossisti o ai dettaglianti del mercato a prezzi di borsa, generando così un surplus tassato non secondo il regime fiscale ucraino ma secondo quello cipriota. Il regime fiscale cipriota, nonostante il Paese non venga più considerato paradiso fiscale a livello europeo, permette infatti alle aziende che investono a Cipro invitanti vantaggi economici. In primis, una tassazione societaria pari al 10% sui profitti della compagnia, il più basso prelievo fiscale in Europa. In secondo luogo, nessuna contribuzione fiscale sui dividendi ricevuti dai proprietari di una compagnia non residenti a Cipro. In terzo luogo, nessuna ripercussione fiscale su eventuali modifiche strutturali dell’organizzazione (fusioni e acquisizioni). Infine, un sistema normativo indecentemente trascurante attività di controllo sulle compagnie straniere.
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[ad]Il sistema descritto, garantendo un lucroso beneficio agli oligarchi, condanna proporzionalmente il disastroso sostentamento fiscale ucraino. Ogni dollaro di profitto di impresa generato a Cipro significa infatti un dollaro di profitto tassabile in meno a Kiev. L’Ucraina, vantante un diritto di imposta sul profitto del 23%, a causa dei processi di elusione fiscale descritti, perde quindi ogni anno cifre importanti nel finanziamento del proprio Stato sociale e nella possibilità di rilancio dell’economia nazionale. Se a ciò si aggiungono i dati (2007), riportati da Bloomerang Businessweek, ultimo studio completo in materia, che registrano lo sconsolante sesto posto ucraino nella classifica delle economie sommerse (58,1 % del Pil), ulteriormente chiara diventa la portata del primato di Cipro negli investimenti in Ucraina e dei conseguenti investimenti ucraini a Cipro.
La recente riforma fiscale, intrapresa dal governo Yanukovich, al fine di arginare il problema dell’evasione, seppur parzialmente ha inciso, contemporaneamente non ha sradicato i vizietti dei contribuenti ucraini. All’utopia di una contribuzione fiscale onesta e alla realtà di una pratica del nero capillarmente diffusa si è provato a rispondere introducendo un sistema fiscale forfettario, simile ai nostri studi di settore. Seppur ammirabile la soluzione teorica, la pratica ne ha notevolmente ridotto i prospettati successi. Essa ha visto, infatti, buona parte dei contribuenti ucraini agire fiscalmente secondo le seguenti procedure. Io, imprenditore ucraino, fatturo regolarmente sino alla soglia della contribuzione agevolata. Nel momento in cui la raggiungo, non contribuisco proporzionalmente all’incremento fiscale ma apro una nuova azienda, intestata ad un familiare, amico o prestanome, fatturante le mie attività di impresa sino a raggiungere nuovamente la soglia predefinita. Qualora, considerata la spiccata produttività del mio business, superi nuovamente detta soglia, apro un’altra attività, riconducibile sempre a familiari, amici o prestanome, attraverso la quale fatturo la parte residuale del mio business continuando ad avvalermi della contribuzione agevolata. Il processo, capace di replicarsi molteplici volte, seppur registra un distorto incremento contributivo rispetto al periodo pre-riforma, evidenzia nuovamente il problema dell’elusione fiscale, generante ulteriori aggravi sul finanziamento della spesa pubblica e sul conseguente e necessario rilancio dell’economia del Paese. La capacità di attrarre i reali interessi degli investitori stranieri, dando pratica ad un ciclo economico virtuoso, sembra quindi necessariamente dover passare da un incremento di sensibilizzazione e responsabilizzazione della cittadinanza. Questo il cruciale nodo imprescindibile per qualsiasi riforma economica proposta dalla classe politica.