Gori e Serra, la new left di Renzi all’esame di empatia alla Leopolda
Umanizzare il renzismo. Meglio ancora, empatizzarlo renderlo quanto più un prodotto digeribile ad un pubblico di sinistra, che continuerà pure a non rappresentare il core-business della campagna del rottamatore ma con cui, nel bilancio delle sue aspirazioni politiche di riformista, un minimo di coesistenza all’interno del Pd dovrà pure trovarlo.
[ad]Il tentativo è andato in scena sul palco della stazione Leopolda a Firenze, per la terza edizione annuale del raduno dei rottamatori. A nove giorni dalle primarie più che agli attacchi frontali Renzi appare concentrarsi su un obiettivo più alla portata degli scampoli di questa campagna: far trovare piena cittadinanza fra gli elettori e le basi militanti del centrosinistra. Può servire per avere la spinta decisiva alla vittoria, potrebbe tornare utile in caso di sconfitta bruciante al primo turno e annessa resa dei conti.
La prospettiva di costruzione di una new left resta, che si chiami “New Deal” come nella suggestione del politologo Roberto D’Alimonte o che assuma le sembianze della sinistra di Pietro Ichino capace di dare rappresentanza a operai, precari e giovani disposti a rischiare nel mare aperto della concorrenza di mercato.
Il segno nuovo, però, scaturito principalmente dalla spirale negativa in cui è entrata l’avventura elettorale di Renzi dopo la cena di fund-raising con l’alta finanza milanese si è avuto quando uno degli organizzatori di quella serata di gala – Davide Serra – e il consigliere per la comunicazione, Giorgio Gori hanno provato a mettere in gioco le loro storie personali.
Nel caso di Serra, il precedente prometteva bene. Dall’Annunziata ne era uscito da comunicatore efficace e televisivo, squarciando il velo d’ignoranza – tramutato storicamente in pregiudizio – verso gli hedge fund e la finanziarizzazione dell’economia globale. Con questa premessa e con la promessa del suo candidato alle primarie di ascoltare dalla convention un messaggio di sdoganamento del ruolo del denaro a sinistra era pure lecito attendersi uno slancio edonistico verso l’arricchimento, la ricerca della felicità. Ma Davide Serra non è americano, è londinese d’adozione e ha battuto una strada molto più sicura per svincolare il ruolo del parvenu a sinistra. Con un percorso di studi eccellente, la partenza da condizioni familiari modeste e una vena filantropica, insospettabile per uno squalo della finanza.
“Per ogni mio figlio (ne ha 4, ndr) aiuto mille bambini in Tanzania” ha rivelato, dando una connotazione di sinistra e – perché no – di terzomondismo ad un’avventura di successo troppo “meritocratica” per apparire progressista in Italia.
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[ad]Serra, suo malgrado è diventato un simbolo della campagna elettorale di Renzi: il rapporto con l’alta finanza è il primo fianco debole a beneficio degli attacchi di Bersani e Vendola. L’altro è Giorgio Gori, che viene dal mondo della televisione e – massimo oltraggio per l’immaginario della sinistra di formazione classica – da Mediaset.
In questi mesi si è attribuito a più riprese a Gori, ex direttore di Magnolia ed ex direttore di rete per il biscione, il ruolo di spin doctor: “Una stupidaggine inventata per mettere zizzania. Nessuno che conosce Matteo – ha ricordato – può pensare che decida con la testa degli altri”. Il nesso di questa maldicenza – a sentire Gori – andrebbe rintracciato nel suo passato professionale. Nulla di cui vergognarsi, anzi – nel chiaro intento di portare il messaggio di una storia di scalata sociale, partendo anche lui da condizioni familiari umili – ha ricostruito, ieri pomeriggio, il suo percorso professionale: studente universitario, lavoratore precario, poi assunto a tempo determinato fino all’approdo nel mondo Fininvest.
Il filo conduttore è un telling story neoprogressista con due narrazioni finalmente left-friendly: “anche i manager hanno un cuore” (sponda Davide Serra) “anche i manager e i comunicatori possono essere di sinistra” (settore Giorgio Gori). Più convincente il primo del secondo, ma entrambi sono tutt’altro messaggi di arretramento.
È stato sufficiente ascoltare don Mazzi, che ha invitato Renzi a cambiare la politica facendo all’occorrenza il Pierino della politica italiana e l’invito a bruciare le navi dietro di sé di Baricco per far capire a tutti che la rottamazione non intende accettare annacquamenti o premi di consolazione.