[ad]Gli scontri tra polizia e alcuni delinquenti (chiamarli manifestanti è un insulto a chi esercita un diritto sacrosanto in una democrazia: quello di manifestare il proprio dissenso) che si sono susseguiti durante la manifestazione anti-austerity mercoledì scorso, ha riportato in auge il consueto dualismo poliziotto/manifestante. Personalmente, mi ha lasciato basito se non perplesso, il coro di indignazione a senso unico espresso da certa stampa nazionale che ha messo sul banco degli imputati la polizia, rea di aver usato troppa forza per sedare l’impeto (io la chiamerei violenza) di alcuni manifestanti. A corredo del giudizio insindacabile dei “giurati” venivano riversate sul web e sui giornali, foto che ritraevano quasi sempre la stessa litania: un facinoroso sanguinante che veniva percosso dal manganello di un agente. E’ chiaro che un manifestante ferito fa più notizia di un poliziotto nelle stesse condizioni. Questo avviene per l’atavica italica concezione che vede nella figura del cittadino quella dell’innocente a prescindere. Il poliziotto invece è considerato un servitore dello Stato (oppressore per alcuni) e quindi un nemico da colpire.
Si dice che la divisa sia ormai vista come pece negli occhi da parte dei manifestanti, retaggio di quel che successe al G8 di Genova nel 2001. L’attacco infame della polizia contro civili (quella volta davvero inermi e senza colpe) che destò scandalo in tutta Italia. Invero l’odio verso qualunque agente, sia esso, carabiniere, finanziere o semplice vigile, ha origini lontanissime antecedenti al 2001. Si annida nel buio passato degli anni di Piombo, dove gli estremisti di qualunque colore politico vedevano nella polizia e nei funzionari dello Stato “il nemico”. E si ripropone ora, con modalità e azioni diverse.
C’è chi ora chiede il numero di identificazione sui caschi degli agenti. In questo modo sarà un gioco da ragazzi trovare il poliziotto manganellatore, denunciarlo, magari vederlo licenziato e forse, ciliegina sulla torta, condannato. Se si accogliesse un’iniziativa simile gli agenti diventerebbero bersagli da colpire, consapevoli di non poter reagire avendo una spada di Damocle che penzola sulla loro testa.
In Italia purtroppo è più facile dare la colpa alla Polizia che a quel centinaio di delinquenti (spesso appartenenti a centri sociali o a frange estremiste come i black bloc) che approfittano delle manifestazioni per distruggere, vandalizzare qualunque cosa gli capiti a tiro. Una violenza cieca che oscura i motivi nobili di qualsiasi manifestazione. Per questo stupisce l’immobilismo da parte di chi organizza i cortei di protesta. A parte qualche condanna sporadica, la maggior parte delle colpe viene data alla Polizia che ha reagito in modo troppo violento oppure non è stata in grado di scongiurare gli scontri.
Infine concludo con una considerazione banale, però importante. I poliziotti che mercoledì si sono trovati a fronteggiare centinaia di ragazzi armati di aste metalliche, sassi e con caschi calati in testa per non essere riconosciuti, sono esseri umani. Erano lì per senso del dovere e perché è il loro lavoro. Quel centinaio di delinquenti sparsi nel marasma generale non erano lì per manifestare un loro diritto ma solo per esercitare violenza gratuita. Purtroppo alla fine, hanno vinto loro. Ancora una volta.