“Preferisco vincere male” alla Leopolda, Renzi comincia la mobilitazione

Alla Leopolda non va in scena il momentum di Matteo Renzi. La politica resta su livelli pop, ignoti al centrosinistra in ogni suo formato nella storia repubblicana. We are young dei Fun, colonna sonora della serie tv Glee ha soppiantato The Big Bang Theory di un anno fa. Il messaggio resta codificato sulla rottamazione, la tattica però cambia, gli attacchi diretti restano negli archivi dei giornali del 2009-11, colpire Bersani direttamente non è più un obiettivo prioritario. Lo abbiamo visto nel dibattito Sky, la migliore commedia improntata ai buoni sentimenti della coalizione Italia Bene Comune. Alla Leopolda più che una virata, Renzi ha concesso un training motivazionale per la mobilitazione degli elettori, anche al costo di apparire meno ispirato agli occhi del paese: “Un leader non commenta i sondaggi, li cambia”, “preferisco vincere male, piuttosto che perdere bene”, “possiamo vincere, devi portare il certificato elettorale, la carta d’identità e fare un quarto d’ora di fila, ma meglio perdere un quarto d’ora che 5 anni”.

Sono le frasi piene di spirito pratico, che resteranno del discorso della Leopolda di stamane. L’indulgenza dei giorni scorsi verso l’eventualità della sconfitta, con la richiesta al segretario del Pd di una sorta di habeas corpus per i suoi sostenitori è svanita, ma solo in parte.

A questo punto della campagna è ancora l’inseguitore e, per la prima volta, riconosce di aver sbagliato lasciando che il dibattito sulle primarie si dilungasse troppo sulle regole per la registrazione: “In questo modo si spaventano gli elettori”. Un concetto che aveva anticipato ieri nella riunione riservata ai responsabili dei comitati sparsi per il territorio nazionale: ogni volontario deve farsi carico di portare 5 elettori a votare per Renzi per vincere la sfida.

Sapendo, finalmente, che il 25 novembre ogni seggio elettorale farà funzioni anche di ufficio per la registrazione. Qualche spiraglio di vittoria, ma non convincendo gli indecisi, non conquistando il famoso “centro” politico – su questo la chiusura netta a Casini e un’apertura al suo elettorato è coerente con l’impostazione della comunicazione renziana –, bensì trascinando ai seggi quanti più elettori possibili del suo schieramento. In America con un tasso di partecipazione alle presidenziali compreso fra il 55-60% vincere per mobilitazione è un’acquisizione tanto recente quanto salda della politologia recente, in Italia la regola di Downs è ancor più falsificabile alle primarie, dove – gioco forza – i partecipanti saranno il 7-8% dell’intero corpo elettorale.

A questo segmento ampio, ma minoritario Renzi ha rammentato il suo programma: flexsecurity, asili nido, servizio civile obbligatorio. I fuochi d’artificio con promesse strappaplausi sono rimandati. L’unico passaggio obamiano lo riserva citando Niccolò, il figlio di una giovane architetta: il bambino che avrà vent’anni tra vent’anni quale Italia troverà? Il rottamatore vorrebbe fargli trovare un paese di hope and dream, sul modello degli Stati Uniti descritto dal presidente in carica.

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[ad]È l’unico momento della grande narrazione renziana, che dura poco e volge in favore della prosaicità e del pragma, il risultato da acciuffare, per quanto improbabile. L’incipit del discorso dice tutto: “Dopo la vittoria a Parma del candidato grillino, abbiamo deciso di fare qualcosa per vincere, perché il sistema dell’usato sicuro non funziona. Il Pd è andato al ballottaggio – ha ricordato – e il nostro candidato si è proposto come l’usato sicuro”.

Qui è arrivata l’unica stoccata a Bersani:“Il nostro segretario, il giorno dopo se n’è uscito dicendo che a Parma non abbiamo perso, ma abbiamo non vinto”. Che poco dopo è stato incalzato sul caso Ichino – sponsor di Renzi, ha parlato il primo giorno alla Leopolda – e circa il suo diritto a far parte del centrosinistra: “Dove sta lo decide Ichino e gli elettori che lo votano, non il segretario di un’organizzazione sindacale (la Cgil, ndr). Spero che Bersani lo difenda”. Balzando così ad uno dei leit motiv di questa edizione del raduno di Renzi: i rottamatori, comunque andrà, dovranno avere cittadinanza nel futuro del centrosinistra.