Livello Zero: il Digital Divide. Di Tommaso Caldarelli

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Livello Zero: il Digital Divide. Di Tommaso Caldarelli

di Tommaso Caldarelli, tratto dal suo blog personale.

[ad]Se vogliamo parlare di come la politica viene comunicata in questo paese, dobbiamo partire da una verità abbastanza inconfutabile e sotto gli occhi di tutti: la Televisione domina. La situazione è chiara a chi la Televisione la fa. Infatti, nel rifiutare di trasmettere i trailer del documentario Videocracy, la RAI rispondeva alla Fandango Produzioni che l’80% degli italiani usa la televisione come principale mezzo di informazione, come ancora risultava da un sondaggio solo un paio di mesi fa .
Questo è,quindi, innanzitutto un fatto: ma è anche un problema?

 

 

Probabilmente si. Giovanni Sartori già ne parlava in un suo saggio di qualche tempo fa (Homo Videns, 2000: qui il testo integrale): la comunicazione televisiva è una comunicazione autoritaria. E’ profondamente diverso, secondo lo studioso, quello che succede avendo in mano un giornale rispetto a ciò che accade davanti alla televisione; perchè c’è un abisso fra la lettura di un testo, che è in realtà un decifrare dei simboli per cui servono i nostri processi cognitivi, e la visione di immagini, che sono immediate e descrivono il reale senza bisogno d’altro: “ciò che si vede appare «reale», il che implica che appare vero”.

 

E questo non può non farci riflettere se ricordiamo che la situazione dell’informazione nel nostro paese è certamente peculiare: già per il solo fatto che gli organi dirigenti della Tv di Stato (Presidenza, Direzione Generale, CDA, Commissione di Vigilanza) dipendono dal potere politico che può cambiare e cambia all’indomani di ogni elezione con conseguenti stravolgimenti (e tralascio poi volutamente la questione relativa al conflitto di interessi e a Mediaset perché non c’è bisogno qui di accennarvi).

Come tutti sappiamo in effetti, sono all’ordine del giorno le cronache e i retroscena dei movimenti nei famosi corridoi di viale Mazzini, dove si giocano le partite delle direzioni di Rete e di Testata: in breve, l’80% dei nostri cittadini ripone la sua fiducia in un mezzo di comunicazione della cui indipendenza e obiettività si può, a ragione, non essere del tutto persuasi. Teniamo inoltre presente ciò che anche l’Istat certifica: “la propensione a guardare la televisione è inversamente proporzionale al livello di istruzione; infatti la quota di persone che guardano la televisione almeno qualche giorno alla settimana è del 91,3 per cento tra i laureati ma supera il 95 per cento tra la popolazione che dispone della licenza media o elementare.”

Istat, Statistiche Culturali, 2007

L’unico modo di crearsi un’opinione il più possibile completa è non affidarsi a una sola fonte di informazione. I quotidiani, ad esempio: ma il più venduto dei giornali italiani, il Corriere della Sera con oltre 600.000 copie, non è neanche in grado di guardare dal basso colossi come il TG1 che sfiorano i cinque milioni di spettatori al giorno.

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Internet invece darebbe una spinta potente verso la soluzione del problema dell’accesso all’informazione. Non è necessario spiegare perché: quantità praticamente illimitata di dati e notizie accessibili, blog, opinioni, approfondimenti, liberi e gratuiti. Ma per ragionare su come internet può cambiare il nostro approccio alla comunicazione della e con la politica, dobbiamo prima chiederci quante persone sappiano di cosa stiamo parlando.


Uno degli ultimi rapporti sull’Information and Communication Technology (ICT), quello di Assinform-Confindustria, ci restituisce una buona fotografia della situazione: l’Italia è la penultima nazione sviluppata industrialmente nella classifica del Digital Divide, davanti solamente alla Spagna. Il DD, come sappiamo, è il divario fra chi può accedere alle nuove tecnologie e chi non ha questa possibilità, e si compone di due elementi: accesso alla banda larga e alfabetizzazione informatica.

[ad]Secondo i dati, l’Italia ha 30 milioni di PC installati, contro i quasi 60 della Germania e i 45 della Francia, ed è ultima in classifica per la percentuale di PIL destinata ad investimenti in infrastrutture tecnologiche – e quindi al miglioramento futuro di questa situazione. La copertura ADSL è inadeguata, con il 25% dei comuni italiani condannati a viaggiare con il 56K (secondo quanto affermato da Maurizio Gotta, presidente e fondatore di Anti Digital Divide): e non pensiamo a piccoli paesini di montagna, sopravvivono così anche alcuni quartieri periferici a Roma. Ciò dipenderebbe in gran parte dal fatto che il monopolista di rete Telecom, dopo la privatizzazione, e cioè “dal 1999 ad oggi non ha praticamente più fatto investimenti di manutenzione o di allargamento di questa rete”, che sarebbe andata progressivamente logorandosi fino a diventare inutilizzabile per usi di massiccia importanza. Probabilmente anche perché “Telecom Italia è stata privatizzata alle condizioni che tutti conosciamo, ha praticamente assorbito il debito […] e non è finanziariamente in condizioni di fare nuove coperture, di estendere la banda larga e di migliorare il servizio.”


D’ora in poi quindi, quando parliamo delle enormi potenzialità di Internet, dovremmo ricordarci che stiamo facendo un discorso estremamente di nicchia, quasi elitario. E dire che l’attuale Presidente degli Stati Uniti non sarebbe potuto essere eletto senza la capillare rete di donatori che gli hanno finanziato la campagna elettorale, e che solo Internet ha saputo creare. Allo stesso modo i giovani iraniani non avrebbero potuto iniziare la loro lotta contro la dittatura islamica che li affligge senza un modo per forzare la censura dei media ufficiali: Twitter, Facebook, eccetera.

Sono certamente apprezzabili le parole di chi, anche in Italia, spinge per una maggiore digitalizzazione dei servizi pubblici, o laddove si parla di ebooks al posto dei libri di testo scolastici: ma senza un serio discorso sull’accessibilità di questi servizi per tutta la popolazione, andrà a finire che saranno utilizzati solo da una ristretta cerchia di persone.

Questa quindi la situazione che il passato ci lascia: dominio assoluto dei “vecchi” media (peraltro nella versione italiana dalla scarsa affidabilità) e difficoltà prima di tutto … infrastrutturale nel parlare di “nuovi” media.