Residori (art director “il Fatto”): “la grafica del nuovo giornale? In rodaggio, ma funziona”
[ad]Lei ha detto e scritto che l’esigenza era quella di non assomigliare a nessun altro giornale.
«Ho passato in rassegna moltissimi giornali di tutto il mondo, dal Canada agli Stati Uniti al Sud America all’Europa, escludendo l’Asia per evidenti ragioni. Quello che vedo attualmente nelle pagine dei giornali è che i titoli non vengono all’occhio: ho cercato di dare voce al titolo, riportando il quotidiano a messaggi chiari e forti, e da qui è nato il concetto dello strillone, partendo da quelli americani degli anni Trenta. E anche se i semafori di adesso, ai semafori, non urlano il concetto è lo stesso. Ecco come è nata l’icona della testata, il pupazzetto col megafono e il giornale in mano».
Nel differenziarsi da altri esempi, c’è un modello che l’ha ispirata in qualcosa? Nel formato, nei colori…
«Il formato è stata una scelta editoriale, legata anche alle esigenze logistiche della tipografia: e le dimensioni sono quelle standard che hanno anche “La Stampa” e “il Giornale”. Per la struttura grafica invece ho spulciato molto nell’editoria americana e inglese, cercando anche nei caratteri qualcosa di ‘antico’ e che garantisse anche nella singola riga una quantità di battute sufficienti per dire qualcosa. La lingua italiana è più lunga dell’inglese, quindi fare i titoli strillati è più difficile. E poi partendo da questo stile ‘vecchio’ ho iniziato a introdurre elementi di grafica basati sul colore e sugli incastri, che sono più da settimanale. Cosa inevitabile visto che ho alle spalle diciassette anni all’“Espresso”. È stato un esperimento e visti i risultati delle vendite andrò avanti su questa linea».
Lei ha detto stile un po’ ‘vecchio’. Però, essendo “il Fatto” un giornale nuovo, perché la scelta non è stata quella di innovare anche nell’impianto grafico, che è peraltro tutto a colori?
«Diciamo che nei quotidiani la qualità di stampa è penalizzata, perciò non si può rischiare troppo. Un conto è fare delle prove su carta bianca patinata, altro è quando le vedi su una carta da 45 grammi in cui la colorazione è sempre leggermente giallina: qualsiasi colore fai devi tenere presente che c’è una quota di giallo e nero nella carta stessa. Per questo è più difficile innovare e stabilire i colori».
A proposito di colori, quello dominante (a partire dalla testata) è il rosso, abbinato al bianco. Che è un colore già abbastanza sfruttato, penso all’“Unità” o all’“Espresso”.
«Sì, io ho cercato di mantenere un concetto di tradizione partendo da chi stava creando il giornale, cioè Antonio Padellaro, al cui fianco c’è ancora Furio Colombo. Non potendo riproporre una striscia rossa, che era il simbolo dell’“Unità”, abbiamo scelto di mantenere il rosso nella testata. Tant’è vero che la prima testata progettata era su una striscia rossa, poi abbiamo cambiato perché non funzionava e alla fine si è arrivati a quella attuale. Mantenendo però il rosso nella parte alta del giornale, e riportando lo stesso colore nella struttura ‘a soppalco’ che ricorre nelle pagine interne. Al rosso, poi, ho accostato dei colori che potessero funzionare su una carta di quel tipo. Troppe sfumature sarebbero state un rischio».
Veniamo ai riscontri che ha avuto questa grafica. È una grafica che ha fatto abbastanza discutere.
«Purtroppo finora non ho potuto seguire i riscontri perché non ho avuto il tempo, ero troppo immerso nella fase produttiva iniziale che non mi ha consentito di guardare nulla. Poi non appena prenderemo un ritmo normale metteremo mano a quei dettagli che so che vanno corretti, tenendo però fede al progetto iniziale. Il punto di partenza è che ogni format va legato all’articolo in maniera coordinata ed equilibrata, un titolo strillato non può riferirsi a un argomento futile e viceversa. Tutto questo va messo a punto gradualmente con la collaborazione della redazione, assieme alla quale siamo in una fase di rodaggio. Capita il giorno dopo di vedere il giornale e dire ‘però questo non va bene così’, fa parte del mestiere e dei ritmi di un quotidiano, il lavoro richiede molta flessibilità ed è inutile incaponirsi su un progetto se non è applicabile. Per quanto riguarda critiche o apprezzamenti c’è chi ha criticato, sono arrivate lettere che dicevano ‘la grafica fa schifo’. Ma da quando lavoro nei giornali, ogni volta che ho seguito un progetto mio o di altri è stato così».
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