Residori (art director “il Fatto”): “la grafica del nuovo giornale? In rodaggio, ma funziona”

Pubblicato il 1 Ottobre 2009 alle 09:13 Autore: Lorenzo Pregliasco
rassegna stampa

[ad]A proposito di critiche, ce n’è stata una che ha fatto molto discutere: nel blog di Massimo Mantellini ha avuto grande eco un post in cui vengono elencate tutte le criticità. Primo punto: il sottolineato in tipografia non esiste, era alle origini un espediente per indicare il corsivo o il grassetto. Come replica?
«Se l’accusa è di essere vecchio rispetto alla titolazione la respingo in quanto per me il sottolineato significa mettere in evidenza: quando uno scrive un appunto sottolinea qualcosa. È un modo per evidenziare senza mettere caratteri bold, neri, extralarge che possono appesantire. Non lo vedo come un problema, poi può dare forse fastidio a qualcuno, ad altri piace; l’importante è l’equilibrio con cui lo si usa, sempre nella logica della messa a punto che avverrà. Per dire, se i catenacci sono sottolineati gli incisi non devono essere sottolineati e viceversa. Si tratta sempre di trovare un equilibrio visivo tra le cose, se tutto è sottolineato la sottolineatura perde di efficacia. Anche se è un elemento grafico che nei giornali esteri viene usato tranquillamente».

Il secondo punto riguarda il maiuscolo nei titoli: non c’andrebbe, se non nei box in negativo.
«Io ho scelto quel carattere perché nel maiuscolo aveva leggibilità ed era piacevole. L’errore può nascere quando le giustezze vengono troppo riempite, ma se la redazione rispetta i bianchi che erano nel progetto non vedo questo problema. Io spesso anche a mano scrivo tutto alto, e il Modern 735 non è un carattere bellissimo nell’alto e basso. C’è un uso intermedio, con titoli tutti alti e titoli alti e bassi: dipende dalle esigenze. Poi, voglio dire, tutto è opinabile: sono stato sotto la direzione di Gianni Perrelli che mi diceva ‘fai come ti pare, la grafica è un’opinione’. Non sono ovviamente d’accordo ma ha un suo fondo di verità ».

Altro elemento: la compressione orizzontale dei titoli, la spaziatura (cioè il kerning & tracking).
«Premetto che il progetto è stato fatto a velocità molto elevata e ho potuto visionare il sistema di impaginazione solo una volta prima di uscire con il primo numero, per cui alcuni automatismi non sono stati completamente messi a punto. Si tratta di trovare l’equilibrio nella compensatura dei titoli: sono critiche che accetto perché le conosco e ci sto lavorando sopra. E poi siamo una struttura piccola, non abbiamo venti grafici come “Repubblica”».

I titoli non riempiono l’area bianca, spesso ci sono ‘buchi’ di lato ai titoli. È una scelta?
«È una scelta, chiaro che ci vuole equilibrio anche qui. Fa parte sempre del processo di ‘educazione’ della redazione, perché poi li fanno loro i titoli e sono loro che devono imparare e appropriarsi di questo linguaggio. Ci sono delle esigenze tecniche e delle libertà che vanno rispettate, io con il mio lavoro cerco solo di far capire le cose in modo che vengano applicate. Ma poi c’è la responsabilità di chi le fa».

Ultimo punto: quello di usare molti (o troppi) caratteri diversi: Helvetica, Garamond, due tipi di Modern, Gill Sans. Perché questa scelta?
«È stata una scelta, la famiglia di base è quella del Modern. Poi ogni carattere va usato per il suo scopo, il Gill funziona a livello di testo più dell’Helvetica che secondo me ha gli occhi troppo grossi, ma ha un impatto visivo minore: l’Helvetica invece per le scritte evidenti è più funzionante e pulito, è come un AvantGarde ma meno lezioso. Invece nei testi ho scelto il Garamond dopo molte prove su campioni perché mi sembrava un carattere funzionante. Però il Garamond non mi piace nella titolazione, per questo ho usato il Modern 735».


L'autore: Lorenzo Pregliasco