Russia, nuova normativa Internet tra censura e privacy
Il contesto storico assicurante il perpetrarsi del sistema feudale, e del potere di chi lo governava, trovava nell’assenza di dipendenza inter-feudale la sua garanzia di sopravvivenza. Il totale assoggettamento dei sottoposti e il capillare controllo del perimetro interno erano assicurati da una fitta schiera di vassalli e valvassori che, in forza di un immaturo principio di sussidiarietà, gestendo ciò che avevano avuto in concessione, garantivano continuità al potere dei feudatari. L’insigne coorte di fedelissimi collaboratori, fossero essi impiegati in materia economico-fiscale o giuridica, allontanava le paure di sconvolgimenti e il perpetrarsi dell’assetto governativo in carica.
[ad]Rimanere ancorati ad una gestione feudale, nel momento in cui i sistemi politici ed economici dei territori confinanti cambiano, divenendo sempre più interdipendenti e sviluppando eterogenei percorsi di progresso, seppur non intacca la capacità di controllo interno, inevitabilmente comporta necessari adeguamenti a livello esterno. Se, inoltre, il protocollo di interdipendenza diventa universale e viene veicolato lungo infrastrutture su scala mondiale, incredibilmente audace diviene la battaglia di coloro che avversano il cambiamento e i suoi mutati strumenti. Il nuovo fronte della campagna d’inverno russa si chiama Internet. La legge n. 139, discussa e approvata a luglio ed entrata in vigore il primo novembre, promuove i nuovi indirizzi del Cremlino in materia, gettando ombre censorie sulla libertà di espressione e sulla garanzia alla riservatezza degli utenti. Ai nuovi vassalli 2.0, insediati presso il Roskomnadzor, agenzia governativa deputata al controllo dei contenuti mediatici, viene assegnato il compito di redigere le infrazioni riscontrate online in materia di pedo-pornografia, uso di stupefacenti e promozione di pratiche suicide e di inserire, conseguentemente, i colpevoli digitali all’interno di un’apposita blacklist (единый реестр – Registro Singolo). L’approccio tutelare della legge nasconde la brutalità normativa della disposizione. Il quarto comma, dopo aver annoverato le tre precedentemente elencate infrazioni, dispone infatti la possibilità di essere messi all’indice a causa di sentenze giudiziarie di condanna per contenuti considerati di proibita diffusione. Illustrato il funzionamento dell’odierno sistema feudale russo, e la politicizzazione delle sue corti giudiziarie, evidente diviene il pericolo di un vassallatico abuso del libero arbitrio nel giudizio delle contese e di una conseguente possibilità di censurare contenuti reputati arbitrariamente scomodi.
Il menzionato registro-indice permetterà inoltre di arginare il problema del coordinamento censorio dovuto alla struttura federale della giustizia. Se prima, infatti, gli aggiornamenti ai registri erano compiuti su base regionale, ora il Registro Singolo assicurerà una conformità nazionale, evitando il ripetersi di spiacevoli episodi (i siti bannati in alcune regioni, rimanevano accessibili in altre).
Il secondo e più doloroso effetto indiretto, sulla libertà di espressione e la garanzia alla riservatezza degli utenti, riguarda i processi di implementazione della legge approvata. Resesi conto dell’urgente necessità di garantire un’effettiva funzionalità della nuova disposizione normativa, le autorità governative hanno disposto infatti l’introduzione di un nuovo sistema di filtro: il Deep packet inspection (DPI). Il nuovo strumento viene così raccontato da uno degli ingegneri coinvolti nella sua messa a punto “you open the envelope, not just read the address on a letter”. Il riferimento rimanda alle attività di monitoraggio utilizzate in precedenza (IDS, IPS), garantenti il controllo dei soli “header” dei pacchetti di informazioni. Con il DPI (ampiamente utilizzato da Cina e Iran), contrariamente, diventa possibile non solo monitorare il traffico internet ma anche filtrarlo, sopprimendo particolari servizi o contenuti. A titolo di esempio, garantisce, qualora vi sia un contenuto inadeguato su Youtube, di bloccare semplicemente il singolo contenuto e non la globalità dell’accesso al sito. Insomma, una censura targettizzata.
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Gli alti costi della tecnologia, intorno ai 100 mila dollari ad installazione, hanno costretto molti Internet Service Provider a posporre la sua introduzione. Ben presto, bramoso di implementare l’efficacia della nuova legge, il Cremlino ha però garantito loro un parziale sostentamento dei costi, favorendo così la rapida diffusione della tecnologia e il conseguente serrato controllo della rete.
[ad]Inoltre, a chi prova ad avanzare un paragone tra DPI e SORM (automatico sistema di monitoraggio e intercettazione delle conversazioni telefoniche e telematiche in vigore dal 1992 in Russia), viene illustrata la “radicale” differenza che permette di distinguere i due: SORM è gestito dai servizi segreti, DPI dalle compagnie mobili e dagli ISP. La pretesa indipendenza dal governo, e la presunta assenza di coinvolgimento delle compagnie del settore, viene però smentita da una dichiarazione di Alexander Shkalikov, ingegnere di Inline Telecom Solution, rivenditrice russa delle tecnologie DPI della canadese Sandvine, in cui infelicemente esemplifica il funzionamento del sistema così: “Per esempio, se tu sai che Navalny, uno dei più famosi leader dell’opposizione, è un cliente di un dato operatore, puoi riuscire a copiare tutto il suo traffico attraverso il DPI. È vero. Esso può persino mostrarti su quali siti ha navigato”.
Infine, esiste il problema della costituzionalità della legge approvata. La Costituzione russa, al primo e secondo comma dell’art. 23, dispone infatti “il diritto di ognuno alla privacy, al segreto personale e famigliare” e “il diritto di ognuno alla segretezza della corrispondenza, delle comunicazioni telefoniche, via mail, via cavo e via ogni altro tipo di comunicazione”, ivi incluse, nella generalità della norma, le nuove forme di comunicazione online. Ciò che non permette però il sollevamento di una questione di costituzionalità è la parte conclusiva del secondo comma dell’articolo, recitante “ogni restrizione a questo diritto può essere disposta solo dalla sentenza di una corte giudiziaria”. Se la Russia fosse, non solo formalmente ma anche sostanzialmente, uno Stato di diritto quest’ultima disposizione tutelerebbe particolari esigenze giudiziarie. Essendo essa però niente più di una burocrazia feudale, la tutela disposta, si rivela essere strumento arbitrariamente utilizzabile da vassalli bramosi di assicurare la continuità di potere del proprio feudatario e l’updating del nuovo ibrido feudalesimo 2.0.