Acciaio, un film italiano coraggioso e riuscito
Stefano Mordini porta al cinema il pluripremiato romanzo di Silvia Avallone. Ne esce un’opera sincera e coraggiosa che si eleva dalla mediocre superficialità di tanto cinema italiano contemporaneo.
[ad]Il film come il romanzo è ambientato a Piombino dove l’orizzonte del paesaggio e delle persone è inevitabilmente occupato dalla Lucchini, la grande fabbrica di acciaio che monopolizza il territorio e le esistenze, è visibile da ogni luogo, invade il fiume e la spiaggia.
È qui che sono cresciute le due protagoniste principali Anna e Francesca. Le conosciamo nell’estate dopo la loro terza media. I loro 14 anni sono spesi in lunghi pomeriggi in cui è difficile fare succedere qualcosa (e poi, che cosa?) tra la voglia di scoperte e la paura di un futuro in cui non si ha nessuna fiducia. In un contesto precario le madri sono rassegnate e l’alternativa al padre violento di Anna è il padre in fuga di Francesca. Mentre Anna può in qualche modo aggrapparsi al fratello maggiore Alessio (Michele Riondino) che lavora nella fabbrica e che si fa carico della famiglia, Francesca può contare solo sulla sua inevitabilmente inadeguata esperienza di quattordicenne.
Il film racconta di come un’amicizia forte e sincera come può essere solo quella tra due adolescenti tenti di contrapporsi ad una realtà in cui anche i sogni e le prospettive sembrano prigioniere della fabbrica. Solo la fuga sembra un’alternativa, ma è un’alternativa con molte incognite e che non può che spaventare chi è cresciuto in questo territorio. I ritorni come quello del padre di Alessio e Anna o di Elena (Vittoria Puccini), amore mai sopito di Alessio, stanno quasi a sottolineare l’impossibilità di un riscatto.
Con un ritmo rarefatto in cui lunghi silenzi e risposte sospese si alternano ai frastuoni della fabbrica e alla colonna sonora ben curata ma a tratti un po’ invadente, Mordini sposa con entusiasmo il romanzo di Silvia Avallone, ne rimane fedele e ne restituisce le atmosfere e i temi di fondo concentrando l’attenzione sulle due ragazze e sulla vita dentro e fuori la fabbrica di Alessio. Tagliando alcuni personaggi ed asciugando il racconto il film tralascia alcune risposte e smarrisce qualche traccia per la strada, ma acquista fluidità e perde le parti più retoriche dell’originale. La resa finale è sincera, senza facili moralismi preconfezionati.
A Mordini si potrà imputare che il precedente “Provincia meccanica” non fosse riuscito, ma qui dimostra doti rare per il nostro cinema. Acciaio è frutto di un lungo lavoro fatto sul territorio in cui gli autori hanno vissuto diversi mesi per preparare il film. La professionalità e la meticolosità del lavoro hanno un perfetto riscontro in un’opera in cui il realismo del racconto è perfettamente tradotto nelle immagini: niente suona falso o pretestuoso, dalle ambientazioni ai costumi, dai personaggi ai dialoghi. Ed è davvero un grosso merito quando i mezzi a disposizione sono limitati e il panorama cinematografico evidenzia spesso la propria distanza dal mondo reale.
Al regista va poi dato atto del coraggio di scegliere di parlare di vita in fabbrica e di tematiche legate al lavoro e alla crisi, tematiche solitamente ignorate, non solo al cinema. Gli adolescenti di Acciaio con le loro ansie e i loro slanci mostrano in maniera autentica un’età di passaggio e di difficoltà e sono quanto di più lontano dagli stucchevoli lucchetti mocciani o dagli edulcorati vampirelli di Twilight.
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