Recensione/2 – “La prima linea”
FILM: LA PRIMA LINEA
REGIA: Renato De Maria
Anno: 2009
Con: Riccardo Scamarcio, Dario Aita, Giovanna Mezzogiorno, Jacopo Maria Bicocchi, Michele Alhaique
Distribuzione: Lucky Red
[ad]Prima Linea (PL) è stata un’organizzazione armata nata in provincia di Milano nel 1976 e seconda per numero di aderenti solo alle Brigate Rosse. Fondata da reduci dei gruppi extraparlamentari di Lotta Continua e Potere Operaio (e altri fuoriusciti, come quelli di Azione Rivoluzionaria), PL si è distinta dalle Brigate Rosse anche per una meno marcata elaborazione ideologica a vantaggio di una maggiore concretezza nelle azioni.
Renato De Maria, ispirandosi liberamente al libro-testimonianza “Miccia corta” di uno dei fondatori dell’organizzazione (Sergio Segio), ne mette in scena la genesi e la morte, ripercorrendo i passi principali della sua storia. Sullo sfondo, l’Italia tumultuosa degli Anni di piombo, con il suo vortice di passioni, utopie e rabbia. Per farlo il regista si è concesso il lusso di scritturare due “prime linee” del cinema italiano, Riccardo Scamarcio nei panni dello stesso Segio, e Giovanna Mezzogiorno, che interpreta il ruolo della sua compagna di vita, e di armi, Susanna Ronconi. Nel 1982, quando l’organizzazione si è ormai sciolta, il protagonista parte da Venezia insieme ad altri ex combattenti per liberare Susanna detenuta in un carcere di Rovigo. Il vero viaggio, però, è nella sua memoria.
Le critiche
“Il film di cui tutti parlano ma che nessuno ha ancora visto”. Il sottotitolo scelto per accompagnare la locandina della pellicola è certamente significativo: fiumi di parole e di inchiostro hanno infatti preceduto l’uscita del film nelle sale, frutto della delicatezza del tema trattato. Per molti, il terrorismo degli anni Settanta rappresenta ancora un tema da accantonare, da lasciare nella foschia in cui è stato per anni abbandonato. Anche perché, quando veniva resuscitato, i brigatisti rischiavano di venire dipinti come dei giovani sognatori, disposti a qualche eccesso di troppo pur di raggiungere l’Ideale di una società egualitaria. Una distorsione storica che conduceva ad una sorta di revisionismo filo-brigatista.
Così, solo per fare due esempi, mentre il Giornale definiva “La prima linea” come “il film che trasforma i brigatisti in eroi”, Luca Telese replicava sul “Fatto Quotidiano” che, al contrario, la pellicola offre una visione “dolente e triste” degli avvenimenti, rifiutando qualsiasi apologia della lotta armata.
I temi
“La prima linea” si regge in gran parte sullo spartiacque rappresentato dalla decisione di intraprendere la lotta armata, passando, come racconta lo stesso Sergio, “dalla forza della ragione alla ragione della forza”. È così che i componenti del gruppo si fanno trascinare dagli eventi in una successione di azioni sempre più inesorabili: dalle intimidazioni agli omicidi, la strada fu breve.
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[ad]Impegnati in una serie di azioni armate che porteranno alla morte, tra gli altri, del giudice Emilio Alessandrini e di uno dei pentiti che abbandonò il progetto nel 1980 (il giovane William Wacher), Segio e i suoi sembrano non accorgersi che dietro di loro si sta creando il vuoto. La frattura, per chi guarda, appare netta e insanabile fin dalle prime scene: il film diventa allora, più che il viaggio intrapreso nel 1982 da una squadra di ex combattenti di Prima Linea guidati da Segio-Scamarcio, per liberare un gruppo di prigioniere politiche, tra cui la Ronconi-Mezzogiorno, la storia di una Scelta. Della decisione cieca di impugnare le armi, in un’ottica machiavellica della “rivoluzione armata” vissuta senza mai avere veramente alle spalle una base forte nel sostegno del popolo per cui lottavano: e il paradosso emerge in tutta la sua potenza. L’altro lato della medaglia è in questo caso impersonato nella figura di Piero, ex militante di Lotta Continua e amico di Segio che aveva deciso di non prendere parte all’organizzazione. Nell’incontro tra i due amici si materializzano due modi diversi di confrontarsi con la delusione post-sessantottina: se, da un lato, Piero continua a ricordare con nostalgia “quando si discuteva fino a tardi, e poi ci si alzava alle sei per fare i picchetti in fabbrica”, Sergio è ormai prigioniero di una sorta di onnipotenza utopica che lo porterà, più avanti, a confessare che “l’errore più grande è stato proprio quello di impugnare le armi”. Proprio questa dichiarazione esplicita, insieme a un’atmosfera cupa, contribuisce a non fare della pellicola solo una storia eccessivamente romanzata che rischia di restituire un’immagine fuorviante di Prima Linea. Senza scavare troppo nei dissidi interiori dei personaggi, De Maria preferisce concentrarsi sulle loro azioni, sulle ambientazioni, sui momenti di confronto e di dialogo (con la famiglia, con l’amico Piero, all’interno dell’organizzazione stessa), evitando una pericolosa immedesimazione dello spettatore nei protagonisti. Sergio e Susanna sono l’emblema di una gioventù pietrificata, accecata dall’ideologia, lontana dall’essere rappresentata in senso eroico. Anzi, ciò che traspare, al di là del comprovato distacco del regista, è un profondo senso di vergogna e di disillusione dei componenti del gruppo, soprattutto nella seconda parte del film.
Peccato solo non vi sia alcun riferimento a uno dei membri più importanti di PL, Marco Donat Cattin, figlio del Carlo esponente di spicco dell’ala sinistra della Dc, il cui affaire avrebbe aggiunto un ulteriore elemento di interesse nell’interpretazione del fervore di quegli anni: un periodo buio della nostra storia, estraneo alle coscienze delle nuove generazioni e che rischia di essere vissuto come un tabù.
Film come “La prima linea” diventano allora tasselli importanti per contribuire ad una sorta di “elaborazione del lutto”, in un percorso difficile quanto necessario.
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