È bastata una semplice frase al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per conquistare, il 23 novembre, le prime pagine di tutti i quotidiani e allontanare, sia pure per poco, l’attenzione generale dalle imminenti primarie del centrosinistra svoltesi ieri.
Come riportato infatti diffusamente anche da un comunicato AGI, il Presidente ha affermato:
… [Monti] come si sa, non si può candidare al Parlamento perché è già parlamentare: questo non è un particolare da poco, qualche volta lo si dimentica. Quindi, non può essere candidato di nessun partito, e non può essere comunque, in quanto persona, candidato al Parlamento.
[ad]Napolitano, come è noto, è un fine politico, ma raramente una sua affermazione ha avuto altrettanti risvolti politici, palesi e reconditi, ed è pertanto opportuno analizzarne attentamente le implicazioni al fine di comprendere al meglio lo scenario politico presente e futuro.
Il Governo Monti, come è noto, è nato dopo la rovinosa caduta di Berlusconi nel mese di novembre 2011 in un momento di emergenza estrema per il Paese, squassato da uno spread molto alto, una credibilità internazionale minata da anni di inconsistenza politica e un rischio default piuttosto concreto.
La debolezza dell’Italia è stata, in ultima analisi, la forza di Monti, che sfruttando il proprio ruolo di “salvatore della Patria” ha potuto legare a sé le principali forze politiche nella costruzione di una maggioranza molto ampia e al tempo stesso instaurare un rapporto di sudditanza de facto del Parlamento nei confronti del Governo riuscendo a far approvare leggi particolarmente indigeste a questa o quella parte politica, ma che hanno avuto il merito, se non altro, di allentare la morsa della speculazione finanziaria sul nostro Paese.
Diversi politici e politologi hanno osservato con apprensione l’evoluzione di questo meccanismo di progressivo annullamento del ruolo del Parlamento, giustamente paventando il deterioramento delle istituzioni democratiche ma talvolta dimenticando le responsabilità dell’insorgere di una simile situazione.
È però in ogni caso chiaro che la situazione, inevitabilmente, sarà profondamente differente dopo le elezioni politiche di aprile 2013.
L’inedita alleanza PdL-PD-Terzo Polo che sta sostenendo il Governo, infatti, non si ripresenterà alle elezioni di aprile; per di più, solo il Terzo Polo, almeno a parole, ha mostrato un’adesione reale e convinta alla linea Monti e si propone di perseguirne la politica, mentre PdL e PD hanno più volte ribadito di aver offerto sostegno al Professore solo per senso di responsabilità nazionale.
In realtà sarebbe stato arduo impostare linee politiche differenti da quella di Monti, considerata la situazione in cui versava e versa ancora il Paese, ma in un gioco politico in cui l’apparenza prevale sulla sostanza, la semplice manifestazione della volontà di dissociarsi dalla politica lacrime e sangue dell’ultimo anno impone a centrodestra e centrosinistra di correre separati.
Via via che le voci sulla possibile prosecuzione dell’esperienza di governo da parte di Mario Monti divenivano più insistenti, Alfano e Bersani da fronti opposti hanno iniziato a lanciare messaggi via via più espliciti contro tale eventualità, dal leader democratico che pur di sbarazzarsi di un pericoloso rivale nella strada per Palazzo Chigi gli spalanca la strada al Quirinale al segretario del PdL e alla sua dichiarazione del 18 novembre al TG2 in seguito alla domanda su un possibile Monti-bis:
Allora il premier annunci la sua candidatura. […] Per noi non è possibile un Monti bis perché non è possibile la collaborazione con Bersani. Abbiamo dubbi sulle scelte del governo tecnico, ma abbiamo stima per Monti.
Le parole di Alfano costituivano un tentativo neppure troppo velato di far rompere gli indugi al premier, farne annunciare la candidatura e con ogni probabilità offrirgli sostegno, in modo da assicurarsi l’alleanza con Casini, l’esclusione dalla coalizione montiana del PD e la conquista di un candidato credibile e vincente da spendere alle elezioni politiche per un PdL in evidente crisi dileadership.
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[ad]Le parole di Napolitano, come forma e contenuti, sono in prima battuta proprio una risposta alla dichiarazione del segretario PdL, a cui rivolgono una vera e propria lezione di istituzioni: da un lato rimarcano lo status di Monti, incandidabile in quanto già senatore a vita, dall’altro, naturalmente, evidenziano come nel nostro Paese non vi sia l’elezione diretta del Presidente del Consiglio, e che quindi Monti non abbia alcun bisogno di candidarsi per poter ricoprire ancora una volta il ruolo di premier.
Proprio questa interpretazione è stata fatta propria dal Terzo Polo, che, tramite Fini, ha già dichiarato apertamente che pur non potendo candidare direttamente Monti nelle proprie liste parlamentari farà proprio il nome del Professore al momento delle consultazioni per la formazione del nuovo Governo.
Ma le parole di Napolitano sono da interpretarsi in una chiave di lettura più generale della bacchettata ad Alfano, e paiono proprio mettere un limite alle ambizioni centriste di accaparrarsi il nome e la figura di Monti in chiave elettorale.
Ciò che infatti il Presidente della Repubblica è riuscito a comprendere, e che invece alcuni leader politici ignorano – o scelgono di ignorare – è che l’oggettivo successo del Governo Monti tanto in termini di ampiezza di operato quanto di consenso popolare (che seppur in ribasso resta straordinariamente ampio se si conta il genere di leggi approvate) deriva proprio dalla terzietà di Monti rispetto alla politica dei partiti, dalla sua estraneità rispetto alle lotte elettorali e ai sistemi di potere che contraddistingono il mondo politico.
Ascrivere Monti ad un partito o ad una coalizione ne farebbe perdere tutte le peculiarità che gli hanno concesso fino ad ora di operare con la massima libertà ed efficacia, in qualche modo “bruciandolo”, come si usa dire in gergo.
Non sono stati pochi i giornalisti e i commentatori che hanno visto nelle parole di Napolitano un’incrinatura nell’asse fino ad oggi ferreo tra Palazzo Chigi e Quirinale, ma bisogna tenere conto, in un simile frangente, dell’inevitabile divergenza di vedute che possono intercorrere tra il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio: quest’ultimo può infatti avere maturato delle legittime ambizioni politiche, ma il Presidente della Repubblica ha il dovere di agire nell’interesse dello Stato, in questo caso per preservare una risorsa politica del Paese come Monti dalle grinfie dei partiti: solo se il Professore resterà lontano dalle campagne elettoralie dalle logiche di coalizioni il suo nome resterà sinonimo di unità nazionale e potrà essere spendibile per le emergenze future; altrimenti Monti diventerà solo un politico come tanti.
E questo, secondo Napolitano, è un prezzo che il Paese non si può permettere.