Recensione: “La sfida” di Sergio Chiamparino
“La sfida – Oltre il Pd per tornare a vincere. Anche al nord”. E’ il titolo del libro-conversazione del sindaco di Torino Sergio Chiamparino scritto assieme al giornalista di “Repubblica”, e molto attivo in questi mesi sul fronte delle vertenze e delle vicende legate alla Fiat, Paolo Griseri e già dal titolo il libro si presenta per quello che è: una summa del “Chiamparino pensiero” attraverso una lunga intervista.
Un pensiero che parte dai presupposti enunciati nel sottotitolo del libro e che vede un Pd capace di tornare a vincere e che sui contenuti parte dell’esperienza dell’Italia settentrionale, per avviare una discussione paradigmatica ed emulabile nei confronti dell’area territoriale che in Italia più si trova in questi tempi a lottare e a trovarsi al centro del fugace e celere mondo della globalizzazione mondiale succeduta alla fine della “Guerra Fredda” e all’emergere dei nuovi mercati globali.
[ad]Partendo dal dato settentrionale, e dalla conseguente demarcazione tra la realtà del nord (dove il mercato ha la meglio sull’amministrazione) ed il sud (dove il concetto è rovesciato) passando per un centro resistente e democratico dove l’elemento amministrativo e quello del mercato sono conciliati al meglio, Chiamparino parte, annunciando il concetto nella sua introduzione all’intervista, da un precetto di Norberto Bobbio che ben rappresenta la fine di un mondo politico e le contraddizioni esistenti nell’attuale sinistra italiana.
Il noto precetto di Bobbio, esposto nel suo libro “Destra e sinistra”, secondo cui per misurare la connotazione di destra o di sinistra delle persone basta immaginare una linea retta con da una parte il concetto della libertà individuale e dall’altra il concetto dell’uguaglianza sociale. Più ci si avvicina al primo concetto più ci si avvicina ai valori della destra, più ci si avvicina al secondo e più si è di sinistra.
Un concetto sacrosanto e illuminante. Ma che ha subito profondi mutamenti a seguito della caduta del Muro di Berlino (che ha visto la morte delle ideologie) e di Tangentopoli (che ha visto la nascita della società civile, nata dalla politica ma molto presta emancipatasi da essa) e che porta Chiamparino giustamente a considerare non più attuale il precetto bobbiano e ad assumere nuovi standard basati sulla condizione sociale e lavorativa (un’operazione non molto dissimile dal tentativo di qualche statistico di elaborare un indice di ricchezza nazionale diverso dal Pil) per far comprendere che oggi come oggi questa situazione porta ad un vero e proprio dramma. Il dramma della mancata identificabilità della sinistra rispetto alla destra, ben contrassegnata dalle parole d’ordine ben conosciute (federalismo, sicurezza ecc…) dalla cittadinanza.
Questa base teorica, che parte dal superamento del singolo concetto di Bobbio per giungere ad un nuovo punto per riacquistare l’identità perduta, porta alla riflessione secondo cui la sinistra negli ultimi anni ha visto più sconfitte che vittorie. Chiamparino dunque cerca di analizzare il motivo di questa situazione utilizzando un paragone idoneo alla situazione esistente: la sinistra è quella parte politica che ha elaborato il welfare state e le garanzie sociali che ha conosciuto il XX° secolo. Però con la globalizzazione il mondo è cambiato ed alcuni soggetti sono esclusi da queste garanzie. Appunto per questo la sinistra è percepita come il baluardo della conservazione di qualche privilegiato mentre la destra colei che può consentire la rottura di vecchi schemi e l’ingresso di molte persone all’interno dell’agognato mondo del welfare state.
Un problema sostanzialmente di “conservazione” (la sinistra appare asserragliata nel palazzo d’Inverno mentre la destra lotta per eliminare un presunto regime zarista) che deve spronare la sinistra a prendere l’iniziativa e a non accontentarsi di difendere lo status quo. Anche se in certi casi questo status qui appare efficiente e giusto.
Passando dunque da un elenco di settori in cui la sinistra appare sempre più asserragliata nel palazzo (interessante il punto sulla banche, colte nella loro accezione puramente popolare e territoriale) si passa allo strumento che teoricamente dovrebbe guidare questo cambiamento culturale del centrosinistra: il Partito Democratico.
Un partito che secondo Chiamparino ancora vive ed appare come una sorta di rimasuglio della Prima Repubblica e che vede nel comitato dei 45 del 2007 un vizio genetico di un partito che col passar tempo non ha ancora sbrogliato la matassa della sua identità e della propria leadership.
Un partito composto da componenti, figlie della nascita condotta male nel 2007, sempre più chiuse negli uffici di Sant’Andrea delle Fratte e sempre più incapace di percepirsi come popolare.