Il discorso di Bossi a Venezia: un’analisi critica

discorso di bossi
Il 12 settembre 2010 è stato un giorno denso di politica, che ha visto quasi in contemporanea gli interventi di alcuni tra i più importanti leader alle feste dei rispettivi partiti. Berlusconi ha parlato a Roma, Casini a Chianciano, Bossi a Venezia e Bersani a Torino. A causa di questa concomitanza, mi è venuta la curiosità di esaminare più da vicino i discorsi pronunciati e metterli a confronto.

Il primo testo che ho voluto esaminare è stato quello di Bossi.
La trascrizione da cui sono partito è reperibile a questo link; per ogni evenienza ho salvato una versione .txt disponibile qui.
Per prima cosa ho realizzato una tag cloud del discorso; non avendo trovato prodotti gratuiti di qualità in italiano che soddisfacessero le mie esigenze, ho creato una versione semilavorata del testo, e poi mi sono affidato a Wordle.
Nell’immagine che segue si può vedere il risultato dell’elaborazione.

Già dalla tag cloud si vedono bene i principali temi del comizio: oltre agli immancabili “Padania” e “padani”, spicca il cavallo di battaglia della Lega Nord, il “federalismo”, declinato attraverso il decentramento dei “ministeri” e la difesa degli “agricoltori”.
I frequenti riferimenti allo “stato”, a “Roma” e soprattutto all'”Europa” mostrano poi, secondo il consueto stile della Lega, il nemico verso cui condurre la “battaglia”.
Completano il quadro i riferimenti al “governo” e tutte quelle parole legate al tema identitario: “popolo”, “gente”, “fratelli”, “casa”, “strada” – intesa come percorso comune.

Scendendo maggiormente nel dettaglio, i principali nuclei tematici affrontati da Bossi sono tre: la protesta degli agricoltori sul tema delle quote latte, il federalismo fiscale e il decentramento dei ministeri.

Per quanto riguarda il primo punto, Bossi detta la linea della Lega con fermezza: sostegno assoluto agli agricoltori, e cercare di ottenere il possibile da Bruxelles per bloccare o posticipare il pagamento delle multe. Colpisce in particolar modo una frase di pesante critica all’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, ora Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali: “come si fa a denunciare il proprio Governo al commissario europeo e invitarlo a tassare?”, sottintendendo implicitamente l’irresponsabilità di un simile comportamento, disegnandolo come lontano dalla gente e dal comune sentire.
È una retorica senza dubbio efficace, e giustamente Bossi rimarca il successo di Zaia nell’aumento delle quote latte con l’ottimo risultato di evitare – si spera – multe future, ma la domanda di Bossi si pone al di fuori dello Stato di Diritto: se gli agricoltori hanno violato la normativa europea, è un dovere dell’Italia pagare le sanzioni e rifarsi a sua volta sui colpevoli.
Il sostegno agli agricoltori viene invece promesso da Bossi indipendentemente dal torto o dalla ragione degli agricoltori stessi. Anzi, secondo Bossi le proteste degli agricoltori sono giuste, in quanto le multe sono sanzioni dovute ad una politica sbagliata di controllo della produzione.

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[ad]Lavorare e produrre, come sostiene Bossi, è un diritto. E in tempi di concorrenza globale le quote fissate dall’Unione Europea possono apparire rigidi vincoli senza aderenza alla realtà.
Il problema è che le procedure di infrazione della UE vengono aperte allo Stato Italiano, quindi a tutti i contribuenti. Il problema è che vi sono migliaia di aziende agricole che non superano le quote latte, si comportano onestamente, e soffrono la crisi due volte, a causa della loro onestà e a causa delle multe che devono pagare per gli altri. Il problema è che l’Italia ha accettato la politica delle quote latte, ed accettandola si è presa la responsabilità di applicarla e di rispettarla, giusta o sbagliata che fosse. Mi sarebbe piaciuto se Bossi – per quanto permesso nella cornice della festa – avesse preso in esame questi punti.

Il Senatùr presenta poi, nella seconda parte del suo discorso, il federalismo come cosa fatta, e si lancia in una previsione semistrutturata di quali saranno le imposte destinate alle regioni. La notizia pare in netto contrasto con un editoriale di Ricolfi del 10 settembre pubblicato su La Stampa, in cui si mostra invece il federalismo fiscale come una scatola ancora vuota.
Il federalismo dovrebbe in effetti seguire la strada maestra aperta dalla Legge Delega 42/20091, ma a vedere la lista dei provvedimenti l’unica approvazione al momento (16 settembre 2010) è il Decreto Legislativo 85/2010 sulla patrimonializzazione di comuni e regioni. Ci sono venti caselle vuote su ventuno nella pagina dei provvedimenti adottati, e di questi nove devono essere approvati entro il 21 maggio 2011 pena la decadenza della Legge Delega.
Non penso sia questione di giorni né di ore, come invece afferma il leader leghista, nemmeno prendendo le parole come una iperbole retorica.

Sul decentramento ministeriale Bossi tira in ballo la situazione del Regno Unito.
Ho reperito la lista dei Dipartimenti Ministeriali della Gran Bretagna su Wikipedia, e ho realizzato una lista dove si evidenzia per ciascun Dipartimento la sede principale e le eventuali sedi secondarie. I dati sono stati reperiti sia su Wikipedia sia sui siti ufficiali dei Dipartimenti stessi.

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[ad]Spero di non aver commesso errori nel recupero dati, ma se le cose stanno come le ho riportate è evidente che il decentramento evocato da Bossi praticamente non esiste. Soprattutto, non è qualcosa di minimamente paragonabile a quello che la Lega Nord ha in mente per il nostro Paese.
Indipendentemente dalla situazione britannica, un decentramento ministeriale certamente permetterebbe di spostare le possibilità occupazionali da Roma ad altre città; tuttavia, a livello puramente teorico, vedo una serie di controindicazioni.
In primo luogo si creerebbero inefficienze comunicative che, in un Paese dalla bassa informatizzazione e dalle competenze confuse come il nostro, ritengo rilevanti. Secondariamente in un Paese in cui i ministeri e i relativi ambiti cambiano da un governo all’altro diventa necessario considerare gli effetti che il decentramento provocherebbe a fenomeni oggi ad impatto limitato quali accorpamenti e scorpori. Infine si rischia di avere la politica locale in qualche modo monopolizzata dalle funzioni ministeriali. Il decentramento e la commistione di poteri statali e locali tematizzerebbero il territorio, impoverendolo. Ad esempio, temo che la politica piemontese e quella del Ministero del Lavoro – ipotizzando che tale Ministero possa essere decentrato a Torino – si sovrapporrebbero irrimediabilmente, sfavorendo le altre zone italiane in tema di lavoro e impoverendo il Piemonte nelle altre aree.

Il discorso è quindi un’eccellente comizio in chiave politica, in grado di emozionare e coinvolgere il pubblico, ma dal punto di vista dei contenuti risulta volontariamente lontano dalla realtà in due passaggi: l’esagerazione sui lavori del federalismo, necessaria per mantenere credibilità verso un elettorato che chiede maggiore autonomia da ormai vent’anni, e la giustificazione estera errata sul decentramento, usata da Bossi con l’intento di chiudere con l’esempio britannico – “lì fanno in questo modo, quindi è una cosa positiva” – qualsiasi ragionamento critico sul tema.

Matteo Patané

(Blog dell’autore: Città Democratica)