Il discorso di Bersani a Torino: un’analisi
Dopo aver analizzato il di Bossi a Venezia, ho preso in esame le parole pronunciate solo qualche ora dopo da Bersani in Piazza Castello a Torino, a chiusura della Festa Democratica 2010.
Anche in questo caso ho salvato una versione .txt in locale per prevenire l’obsolescenza dei link, e da questa ho prodotto una versione semilavorata da sottoporre a Wordle.
Ecco il risultato.
Rispetto al discorso di Bossi, il comizio di Bersani risulta essere decisamente più complesso e articolato.
Il segretario del PD pare qui risentire della pressione che grava su di lui e sul suo partito – peraltro recentemente aggravata dal documento dell’ala veltroniana – ed esplode letteralmente con un intervento a tutto campo, in cui contemporaneamente attacca e si difende, esige spiegazioni e offre giustificazioni, in un rincorrersi di dati, citazioni e riferimenti spesso di non semplice interpretazione.
Diventa quindi quasi un obbligo scomporre il discorso non tanto seguendone lo svolgimento cronologico, ma raggruppandolo per comparto tematico. Per pura questione di scelta personale ho deciso di aprire con i passaggi in qui il segretario si mostra sulla difensiva per proseguire poi con le parti in cui invece si getta all’attacco.
Approfittando dei ringraziamenti ai volontari della festa, Bersani rivendica il successo delle oltre 2.000 feste PD sparse nel territorio e la quota sempre crescente di giovani che le animano. L’intento è evidente: il duplice paragone con la Lega Nord ed il suo radicamento territoriale e con il PCI degli anni ’70 è chiaramente ingombrante, e Bersani vuole rimarcare il successo del PD sia come progetto politico sia rispetto alla formazione leghista. Al tempo stesso rimarcare la presenza dei giovani ha l’esplicito scopo di garantire all’elettorato la continuità generazionale del partito e al tempo stesso tentare di capovolgere, almeno nell’immagine, l’idea del PD come partito poco attraente proprio per la fascia più giovane dell’elettorato; allo stesso scopo serve il riferimento al lavoro dei Giovani Democratici.
I dati, almeno fino a quando le liste di volontari non saranno rese pubbliche, non sono purtroppo verificabili, quindi fino a prova contraria saranno le analisi di composizione del voto e non le parole di Bersani a giudicare l’appeal del PD nelle fasce più giovani dell’elettorato. Anche la rivendicazione del radicamento è una questione di immagine, ma in questo caso i dati sono fortunatamente verificabili: ho scelto di eseguire il confronto tra il PD e la Lega Nord sulla regione che ha visto lo scontro più equilibrato alle ultime regionali, il Piemonte, e il quadro che ne emerge giustifica in pieno le parole Bersani almeno in termini di presenza materiale di circoli sul territorio, indicatore certo non risolutivo ma estremamente significativo.
La lunga sequenza di eventi e valori di cui Bersani recita una sorta di “Credo” tenta invece di risolvere lo spinoso problema del pantheon del Partito Democratico. Il risultato è necessariamente a tinte generaliste: il welfare, la Costituzione, l’antifascismo… la storia della Prima Repubblica trova così la sua sintesi in un modo guareschiano, dove alla fine, pur da fronti opposti, Don Camillo e Peppone condividevano i medesimi ideali. E forse, nella Prima Repubblica, era vero.
Infine, sul tema delle alleanze, Bersani rilancia lo schema a cerchi concentrici del Nuovo Ulivo e dell’Alleanza Democratica. E il rilancio avviene con precise bacchettate a Vendola – sul tema delle primarie – e a Di Pietro – sul tema dell’opposizione interna alla coalizione.
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