Analisi del discorso di Berlusconi alla Camera
[ad]Infine, il piano per il Mezzogiorno. Qui sono le infrastrutture a farla da padrone: autostrade, ferrovie e naturalmente il ponte sullo Stretto. Fanno da contorno i vantaggi fiscali e la promessa federalista, anche se di fatto manca la spiegazione sui meccanismi di controllo che dovranno avere le assegnazioni dei fondi pubblici. Il progetto berlusconiano è dichiaramente utopico, e se nel quoziente familiare si avvertiva appena il corteggiamento all’UDC, qui l’appello ai deputati meridionali (NoiSud, MPA, transfughi UDC) diventa addirittura palese: il discorso si inceppa, l’iperbole delle promesse è tale che il messaggio smette di essere il Paese sognato dal premier e diventa mera elemosina di voto.
La chiusa del discorso non sopisce infine alcuni dubbi. Il quadro disegnato dal Presidente del Consiglio appare incompleto, e le assenze sono pesanti.
Perché tra i successi del Governo non sono citati Napoli e l’Aquila? Perché il premier ha bisogno di rifarsi a dati fasulli, specie in materia economica, per rilanciare l’azione dell’esecutivo? Perché così scarsi riferimenti al tema energetico-ambientale, salvo il riferimento al nucleare, senza che nel discorso compaia nemmeno una volta la parola “rinnovabili”? Perché nessun riferimento ai beni culturali, al turismo, segmenti importanti della nostra economia? E perché, quando si parla di lavoro e di impresa non vi sono riferimenti ad uno scioglimento dell’ormai storico nodo del Ministero dello Sviluppo Economico?
Berlusconi è un abilissimo oratore, ma questa volta non è riuscito a dare il meglio di sé, a convincere l’ascoltatore della bontà del disegno di Italia che ha in mente e soprattutto di essere in possesso dei mezzi per realizzarlo.
È il logoramento delle promesse non mantenute, o mantenute in parte, fino ad ora – a torto o a ragione – rintuzzato con la colpa scaricata sul nemico di turno, giudici, opposizioni, alleati infedeli.
Questa volta, però, Berlusconi non ha trasmesso un sogno, condivisibile o meno. Ha trasmesso in ultima analisi la sua urgenza di avere voti, il suo bisogno di restare in sella. Un sogno, questo, a cui la gente comune non può essere invitata, un sogno personale e non il sogno italiano che aveva promesso tanti anni fa.
Matteo Patané
(Blog dell’autore: Città Democratica)