Analisi del discorso di Berlusconi alla Camera

Il 29 settembre 2010 il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha tenuto un discorso alla Camera dei Deputati per chiedere la fiducia dell’Aula sull’azione del governo.

 

Non mi dilungherò qui sui ben noti motivi che hanno portato alla necessità dell’intervento in aula e alla scelta di porre la fiducia, né sulle analisi numeriche del voto che hanno sancito una dipendenza della maggioranza dal gruppo finiano Futuro e Libertà più o meno stretta a seconda di quanto si vogliano considerare organici al centrodestra le microformazioni che albergano nel Gruppo Misto.
Preferisco invece in questo passaggio provare ad esaminare le parole del premier.

 

Come già per i comizi di Bossi e Bersani, ho salvato in locale una copia del discorso, prodotto una versione semilavorata per la realizzazione del tag cloud e infine dato il tutto in pasto a Wordle.

Dal tag cloud emerge in primo luogo la prevalenza del “governo” sul “parlamento”, che a sua volta prevale sulle “istituzioni”. Indipendentemente dall’oggetto del discorso, che parzialmente giustifica questo ordinamento, è chiaro che le parole di Berlusconi rispecchiano il suo pensiero sul rapporto tra i poteri dello Stato, come d’altra parte è espressamente scritto nel discorso laddove il premier auspica un rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e arriva a parlare espressamente di elezione diretta del Presidente del Consiglio.
Se si prendono invece le keyword più strettamente legate all’azione di governo e alle proposte di rilancio per il futuro si nota un certo equilibrio: “economia”, “crisi”, “giustizia”, “federalismo”, “lavoro”, “sud”, “criminalità” e “fisco” appaiono infatti di dimensioni piuttosto simili, dando l’idea di un discorso ben calibrato e strutturato almeno dal punto di vista formale.

Il messaggio si snoda in due fasi: la prima in cui il Presidente del Consiglio rivendica i risultati conseguiti dall’esecutivo nel primo biennio della legislatura, ed il secondo in cui viene esposto il piano di azione per il futuro.

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Il Governo rivendica il buon comportamento tenuto durante la crisi economica, comportamento in grado di coniugare rigore nei conti pubblici e salvaguardia del reddito privato e dell’occupazione.

Una serie di grafici ricavati dall’ISTAT (fonte 1 – 2) mostra tuttavia un quadro differente: aumento del rapporto debito/PIL di dieci punti in un anno, incremento del rapporto deficit/PIL, perdita sostanziale di oltre 400.000 occupati nel corso del 2009. In particolare è da smentire l’affermazione del premier secondo cui la spesa pubblica è sotto controllo ed il peggioramento del rapporto debito/PIL è dovuto unicamente alla contrazione di quest’ultimo: come si vede il debito pubblico ha mantenuto un impressionante trend di salita anche nel corso del 2009.

[ad]Al di là del tema economico, dove giustamente trova spicco l’estensione degli ammortizzatori sociali a fasce precedentemente escluse, Berlusconi rimarca poi i successi ottenuti dal governo citando abolizione dell’ICI, riforma della scuola, riforma delle pensioni, energia nucleare, lotta alla criminalità organizzata.
Si tratta di temi piuttosto complessi e difficilmente liquidabili in poche parole. Soprattutto si tratta di progetti in stadi diversi, alcuni in corso (lotta alla criminalità, riforma delle pensioni), altri sostanzialmente al punto di partenza (nucleare), altri completati con più o meno fortuna.
Sicuramente, come ormai da più parti si rimarca, è giusto ricordare che con abolizione dell’ICI Berlusconi si riferisce alla Legge 126/2008, in cui viene completamente abrogata un’imposta per cui il Governo precedente, con la Legge 244/2007 aveva a suo tempo triplicato la franchigia.
Ed è altrettanto giusto ricordare che ai numerosi arresti di presunti mafiosi, giustamente portati da Berlusconi come un successo, si accompagnano episodi come il divieto delle indagini sui parlamentari, come recentemente avvenuto per Cosentino, fatto che Berlusconi si è guardato dal citare e che le stesse parole del Presidente del Consiglio al capitolo “giustizia” del suo discorso impediscono d’altra parte di liquidare come evento di poco conto.
Sul tema del nucleare i punti su cui si fa forza il premier sono l’indipendenza energetica e il calo delle emissioni di sostanze inquinanti. Se però sul secondo punto le informazioni fornite – eccettuato l’annoso e ancora controverso tema delle scorie – sono corrette, è altresì vero che l’Italia non possiede giacimenti di uranio, né è disponibile nel nostro territorio la filiera industriale per la raffinazione di tale materiale. Non si tratterebbe quindi di indipendenza energetica, ma di scambio di una dipendenza con un’altra. Forse meno costosa, forse più efficiente, ma sempre dipendenza.
Infine Berlusconi rivendica la ferma linea del governo sul tema della bioetica, emblematicamente rappresentato dal caso di Eluana Englaro e dalle polemiche dell’ultimo periodo della sua vita.

Su queste premesse Berlusconi descrive l’azione di governo prevista per i prossimi anni fino al completamento della legislatura.

L’idea che il premier traccia del federalismo fiscale è basata su una netta separazione delle competenze tra stato ed enti locali – curiosamente, mentre la scuola appare nei temi di rilevanza nazionale, così non è per la sanità. Giustamente il premier rivendica la larga condivisione del progetto, ben maggiore delle forze che sostengono il governo, ma se andiamo ad osservare da vicino l’iter parlamentare spicca il fatto che solo due (Decreto Legislativo 85/2010 e Decreto Legislativo 256/2010) provvedimenti su ventuno della Legge Delega 42/2009 sono stati approvati, uno di questi è già decaduto e ben otto richiedono un’approvazione entro maggio 2011. Il progetto di federalismo pianificato dal governo, indipendentemente da giudizi sul merito, è pertanto a rischio per una mera questione temporale.
Colpisce inoltre il fatto che al federalismo sia stato dato nel messaggio un taglio estremamente meridionalista: il discorso del Presidente del Consiglio non risparmia parole sui benefici che una maggiore autonomia dallo Stato centrale dovrebbe apportare al sud in termini di ricchezze e servizi; il passaggio è apprezzabile per la risposta data ai sempre latenti timori di un Mezzogiorno abbandonato dal Paese in balia delle potenti organizzazioni criminali, ma le fasi successive del discorso sveleranno un intento molto più pragmatico delle parole di Berlusconi.

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[ad]Il progetto di riforma fiscale confezionato nel discorso di Berlusconi – che non lascia qui traccia del suo sogno di ridurre a due le aliquote IRPEF – è invece incentrato su un generico abbassamento della pressione fiscale, indicando nel quoziente familiare il solo intervento specifico.
Rivendica giustamente Berlusconi la riduzione dell’IRAP tramite diminuzione dell’imponibile IRES (con possibilità di azzerare l’imposta per le imprese di nuova costituzione nel sud), ma pare al contempo dimenticare l’aumento della pressone fiscale avuto nell’ultimo anno di governo, come mostra il grafico ISTAT.
Di fatto, dei cinque punti, quello fiscale pare essere il più debole e povero di dettagli dell’intera trattazione.

Il tema della giustizia, come era lecito aspettarsi, è invece il più denso. Qui le proposte berlusconiane sono numerose: divisione del CSM, separazione delle carriere, tutela delle alte cariche, inasprimento delle punizioni per i magistrati che sbagliano, smaltimento dei processi.
Di fatto tutti questi provvedimenti vanno nella direzione di rendere più difficile il portare a termine un’indagine e, dopo di questa, un processo, nell’ottica generale di ridurre le prerogative di un potere giudiziario visto come troppo invadente.
Trovo estremamente significativo un passaggio che cito testualmente:

È dovere della politica ristabilire il primato che le viene non dai privilegi di casta ma dalla volontà popolare.

In questa frase è contenuto il succo del rapporto tra il governo e la magistratura. Non già poteri uguali e separati, ma primato della legittimazione popolare sulla legge.
È qui che per i detrattori di Berlusconi si pone l’estrema minaccia costituita dal Cavaliere, lo sfascio dell’eguaglianza del cittadino dinanzi alla legge, la riduzione del potere dei magistrati a semplici avvocati dell’accusa, senza cioè il potere di condurre le indagini.
Tutto si può rimproverare a Berlusconi ma non la mancanza di chiarezza sul suo obiettivo; che gli interessi in funzione privatistica – già si colgono le avvisaglie di un coinvolgimento del contenzioso civile CIR-Mondadori nello “smaltimento” delle cause civili – come le svariate leggi ad personam tenderebbero a confermare, o che sia una convinzione effettiva, di fatto nell’Italia disegnata dalla mente del Cavaliere il rapporto tra i poteri dello Stato sarà completamente differente da quello attuale.

Il tema della sicurezza non prevede particolari riforme, ma costituisce il semplice impegno a continuare le opere promosse dal governo nella prima fase della legislatura: militari nelle zone degradate, respingimenti dei clandestini, lotta alla mafia.
Se sui primi due temi l’azione di governo si è mostrata coesa, sul tema della lotta alla mafia sono da segnalare alcuni provvedimenti quantomeno ambigui, tra cui la Legge 191/2009 che prevede la messa all’asta dei beni confiscati alla mafia, con il rischio che tali beni tornino, nel caso di controlli assenti o controllori compiacenti, proprio nelle mani dei boss.

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[ad]Infine, il piano per il Mezzogiorno. Qui sono le infrastrutture a farla da padrone: autostrade, ferrovie e naturalmente il ponte sullo Stretto. Fanno da contorno i vantaggi fiscali e la promessa federalista, anche se di fatto manca la spiegazione sui meccanismi di controllo che dovranno avere le assegnazioni dei fondi pubblici. Il progetto berlusconiano è dichiaramente utopico, e se nel quoziente familiare si avvertiva appena il corteggiamento all’UDC, qui l’appello ai deputati meridionali (NoiSud, MPA, transfughi UDC) diventa addirittura palese: il discorso si inceppa, l’iperbole delle promesse è tale che il messaggio smette di essere il Paese sognato dal premier e diventa mera elemosina di voto.

La chiusa del discorso non sopisce infine alcuni dubbi. Il quadro disegnato dal Presidente del Consiglio appare incompleto, e le assenze sono pesanti.
Perché tra i successi del Governo non sono citati Napoli e l’Aquila? Perché il premier ha bisogno di rifarsi a dati fasulli, specie in materia economica, per rilanciare l’azione dell’esecutivo? Perché così scarsi riferimenti al tema energetico-ambientale, salvo il riferimento al nucleare, senza che nel discorso compaia nemmeno una volta la parola “rinnovabili”? Perché nessun riferimento ai beni culturali, al turismo, segmenti importanti della nostra economia? E perché, quando si parla di lavoro e di impresa non vi sono riferimenti ad uno scioglimento dell’ormai storico nodo del Ministero dello Sviluppo Economico?
Berlusconi è un abilissimo oratore, ma questa volta non è riuscito a dare il meglio di sé, a convincere l’ascoltatore della bontà del disegno di Italia che ha in mente e soprattutto di essere in possesso dei mezzi per realizzarlo.
È il logoramento delle promesse non mantenute, o mantenute in parte, fino ad ora – a torto o a ragione – rintuzzato con la colpa scaricata sul nemico di turno, giudici, opposizioni, alleati infedeli.
Questa volta, però, Berlusconi non ha trasmesso un sogno, condivisibile o meno. Ha trasmesso in ultima analisi la sua urgenza di avere voti, il suo bisogno di restare in sella. Un sogno, questo, a cui la gente comune non può essere invitata, un sogno personale e non il sogno italiano che aveva promesso tanti anni fa.

Matteo Patané

(Blog dell’autore: Città Democratica)