Le confessioni del direttore più discusso del giornalismo italiano
Il libro di cui parliamo è frutto di una lunga conversazione sotto forma di intervista tra Stefano Lorenzetto e Vittorio Feltri, uno dei protagonisti del panorama giornalistico italiano.
[ad]Feltri è un giornalista conosciuto per il suo forte temperamento. Il Vittorioso offre rivelazioni del suo risvolto più umano. C’è gran parte della storia di Vittorio Feltri giornalista. Sono raccontati i suoi esordi a L’Eco di Bergamo. Molti gli aneddoti: come quando Feltri, al giornalista-collega che gli consigliava di cambiare aria passando dall’ Eco di Bergamo alla Notte obiettò “è un giornale di destra ed io sono socialista quindi non mi prenderanno mai”(sic!). È Feltri poi a raccontare dei suoi trascorsi al Corriere, e lo fa con l’aria di chi, pur senza aver vissuto in via Solferino uno dei migliori periodi professionali, continua sempre a nutrire una grande deferenza per il primo quotidiano italiano. Un aspetto che emerge in ogni parte del libro è la spasmodica attenzione di Feltri per i numeri di vendita dei quotidiani. La teoria è tanto elementare quanto controcorrente: “I giornali sono aziende, non è che li facciamo per assolvere ad una missione. Non vendi copie, chiudi”. E ancora: “Non conosco altra strada per evitare che l’editore debba ripianare il deficit e, quindi, esercitare un potere ricattatorio nei miei confronti”. In parole semplici, Feltri antepone la forza dei numeri come antidoto al condizionamento da parte dell’editore. E, nel colloquio con Stefano Lorenzetto da cui Il Vittorioso prende forma, si dimostra profondo conoscitore della categoria dei giornalisti di cui è parte. Il libro cita decine e decine di giornalisti. Molti di questi sono stati assunti nel corso delle sue otto direzioni; in altri casi sono colleghi con cui Feltri ha avuto dissapori o incomprensioni, come ad esempio Carlo Rossella. Nelle stesse pagine il direttore di Libero non perde occasione per lanciare aspre critiche nei confronti dell’ordine dei giornalisti reo, a suo dire, di scarsissima imparzialità. Feltri non si sottrae a giudizi impietosi verso suoi colleghi cogliendo però anche l’occasione per elogiarne altri (come Enrico Mentana perché “non fa informazione schierata”). Rivela il desiderio di prendere quella che chiama “la corazzata di via Solferino”, composta da Ernesto Galli Della Loggia, Angelo Panebianco, Paolo Mieli e Piero Ostellino. Il libro racconta di Montanelli, ricostruisce il caso Boffo e la storia di Fini dell’appartamento a Montecarlo.
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[ad]L’ex direttore del Giornale, da laico, si pronuncia a favore del testamento biologico, affinché “ciascuno possa decidere della propria vita senza che nessuno, né la Chiesa né lo Stato, ci metta bocca”. Anticipando di alcuni mesi la cronaca parlamentare di questi giorni, prefigura grandi difficoltà nell’approvazione del federalismo. Il Vittorioso è anche l’occasione per Feltri per offrire prova concreta del tifo sfegatato verso suo figlio Mattia, giornalista come lui. La sua passione per i cavalli e per gli animali in generale. Si dice fiero della sua creatura editoriale: Libero, nato per scommessa, salvo per miracolo e sopravvissuto per la sola forza della sua impertinenza. Feltri descrive il suo giornale ideale come un oggetto di lusso con poche pagine, pochi redattori fissi e molti redattori esterni ben pagati. Racconta il suo rapporto con Oriana Fallaci con la quale è diventato amico dopo aver rintracciato contro di lei un ostracismo ideologico preventivo. Elementi sufficienti, per Feltri, per schierarsi a sua difesa. Feltri quando non attacca, difende. Tutto fuorché fare il mediano. Non fa per lui.
Giuseppe Spadaro