[ad]Le elezioni, per quanto primarie, sono sempre una robusta iniezione di realtà che fa seguito spesso e volentieri a settimane di inesattezze, di fatti deformati con gli occhi della propaganda e, talvolta, di notizie edulcorate per trasmettere un’idea di competitività anche laddove i numeri fotografano un distacco soverchiante. Il primo turno delle primarie per la premiership del centrosinistra si è inserito in questo solco e sul piano intellettuale ha rimesso l’analisi politica finalmente su un piano di sincerità. Ma solo una volta ottenuti ufficialmente i dati definitivi, perché da ieri notte e fino a questo pomeriggio si è creato uno strano – e inspiegabile – thrilling sul vantaggio di Pierluigi Bersani: secondo il comitato organizzatore delle primarie il segretario Pd avrebbe avuto un vantaggio fra gli 8 e i 10 punti percentuali sul suo diretto inseguitore, Matteo Renzi; per il comitato del rottamatore il gap sarebbe stato di 5, 6 punti al massimo. I dati dello scrutinio hanno dato pienamente ragione allo staff di Italia Bene Comune e qualcuno avrà pensato – a ragione – che dalla parte dei renziani sia stata covata per ore una sciocchezza senza capo né coda.
Sì, verrebbe da chiosare, ma non l’unica. E non ha riguardato soltanto il fronte del sindaco di Firenze, per quanto quest’ultimo abbia prodotto lo stand più di successo della sagra in queste primarie. Cerchiamo di analizzarle nel dettaglio:
- Risultato: per Renzi i consensi sono stati superiori alle previsioni. Falso. Era così inconcepibile per il rottamatore arrivare di quasi 10 punti percentuali dietro a Bersani, che i renziani hanno trascinato per ore una polemica a distanza con Nico Stumpo – responsabile della macchina organizzativa di queste primarie – sui risultati definitivi.
- Renzi ha rimontato: questa asserzione è strettamente connessa alla prima, di conseguenza è anch’essa smentita dai dati empirici. Logicamente cade un altro importante argomento, di scetticismo stavolta su queste primarie;
- I sondaggi non sono attendibili. L’argomento più consistente di questa tesi era legato all’imprevedibilità di questa consultazione, in quanto le primarie avrebbero visto una forte partecipazione di elettori del centrodestra con tanti cari saluti alla possibilità di tarare accuratamente il campione. Nella media ponderata elaborata sul Termometro Politico, Bersani veniva dato vincitore del primo turno con 9 punti di vantaggio. A Cise, Ipsos e Piepoli va la palma dei più precisi. Cise nell’ultima rilevazione aveva individuato un vantaggio di Bersani di 10 punti percentuali (48 a 38%), così come Ipsos (42 a 32%), mentre Piepoli attribuiva una differenza leggermente più contenuta (43 a 32%);
- L’affluenza è stata altissima. Questa è una convinzione comune dei due candidati al ballottaggio. Della partecipazione si è preso il merito Bersani, mentre Renzi ha approfittato delle code a votare per alimentare una piccola polemica sul numero insufficiente dei seggi elettorali. In realtà anche qui Renzi ha dato i numeri, parlando per ore di 4 milioni di elettori quando – alla prova del 9 dello spoglio completato – sono risultati soltanto 3.110.210 votanti. Un numero considerevole in tempi grami di antipolitica, ma non da gridare all’affluenza imponente. Il raffronto che viene fatto con insistenza è quello col numero di elettori delle primarie per il candidato alla segreteria del Pd del 2009. Prima obiezione, stavolta era coinvolto l’intero centrosinistra e, aggiungiamo – tanto per fare una comparazione completa sul diverso contesto elettorale – con uno schieramento progressista non più all’opposizione, agevolato dalla scomparsa nei consensi di qualsivoglia centrodestra. Ciò nonostante la partecipazione ha registrato un aumento minimo: 3.110.210 votanti contro i 3.102.709 dell’autunno 2009. Se sottraiamo l’elettorato andato a Vendola – si parla di 485.689 voti – , o anche quello di Tabacci – 43.840 voti-, il bilancio va in passivo;
- Con Renzi è entrata nel Dna la questione settentrionale. Più no che sì. Renzi ha perso in tutte le Regioni del nord, in Lombardia con un distacco di 8 punti percentuali, perfettamente in linea col dato nazionale, altrove con un range fra i 3 (Piemonte) e i 12 punti (Liguria). Se si uniscono poi i risultati del sud Italia, si può addirittura ritorcere contro il sindaco di Firenze l’argomento: soffre al momento sia di una questione settentrionale che di una questione meridionale. Un problema che di solito veniva imputato al centrosinistra vecchia maniera la caratura da leader appenninico è diventato un tratto caratterizzante del primo turno del rottamatore;
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- Bersani ha accumulato un vantaggio netto grazie agli appoggi del suo partito. In parte è vero, specialmente se si osserva la sua carica: segretario del Pd. L’apparatchik in compenso gli ha portato poco. Rispetto al 2009 perde 200 mila voti nonostante potesse contare questa volta sull’appoggio di Dario Franceschini, detentore di 1 milione di voti alle primarie per la segreteria. Di maggiore influenza è stata la sua abilità nel rivolgersi come collante della coalizione e del partito: significativo il rimprovero a Renzi del “difettuccio” dell’uso delle categorie del “noi” e “loro” nei suoi discorsi elettorali per distinguere fra i rottamatori e i bersaniani. Gli unici “loro”, ha ricordato – facendo valere la sua impronta di leader e garante dell’unità del partito –, sono quelli che stanno a destra ;
- Renzi ha vinto in Toscana, perché è il sindaco di Firenze. Questa alzata di genio l’hanno avuta in molti all’interno del Partito Democratico: dal segretario regionale, Andrea Manciulli al presidente della Regione, fervente bersaniano, Enrico Rossi: “In Toscana Renzi sopravanza Bersani e sembra superare il 50% , un risultato su cui sicuramente ha pesato l’appartenenza geografica e il fatto di essere il sindaco della principale città della regione” ha scritto in mattinata. Salvo smentirsi nel pomeriggio man mano che veniva ventilato un dubbio sulla rete: ma Pontedera – dove Renzi ha strapazzato Bersani con un margine di 8 punti percentuali – non è il feudo dell’ex sindaco Enrico Rossi? Così, attorno alle 18 sulla sua bacheca Facebook è apparso un messaggio di parziale ravvedimento: “Alle primarie del centrosinistra, a livello nazionale, ha vinto Bersani mentre in Toscana ha vinto Renzi. Questo è frutto di tante ragioni, a partire dal legame con il territorio fino al bisogno di rinnovamento dei vertici nazionali espresso dagli elettori, in modo particolarmente forte in Toscana, al punto da prevalere sul programma, sulle idee e sull’appartenenza. In questa regione ha prevalso questa necessità che Renzi ha ben interpretato”. Da antologia.
- Al ballottaggio si riparte dallo zero a zero: aduso alle metafore calcistiche, nella conferenza stampa di questo pomeriggio Matteo Renzi ha usato questa per far capire che considera totalmente aperta la partita per la conquista del 50%+1 dei voti e soprattutto che non c’è nessuno svantaggio da recuperare. Tesi facilmente confutabile, regolamento alla mano. Sarebbe solida se Renzi avesse la possibilità di mobilitare molti più elettori, neutralizzando il vantaggio del 9,5% di Bersani sui 3,1 milioni di elettori del primo turno. Non è questo il caso. Alle primarie partecipa un segmento ampio, ma minoritario dell’elettorato (inferiore al 10%): chi si reca alle urne al primo turno ha fatto una scelta d’appartenenza. Assodiamo anche che Nichi Vendola, titolare del 15% di voti, senza fare endorsement esplicito ha garantito un impegno per far perdere il giovane rottamatore. Questo non implica che la partita sia totalmente chiusa o irrecuperabile, ma che di recupero si debba eventualmente parlare per Renzi è pacifico. Recupero peraltro molto complicato a causa delle regole sulla registrazione: chi vorrà votare al secondo turno senza aver partecipato al primo potrà farlo solo adducendo un oggettivo impedimento per l’assenza del 25 novembre. Inoltre non sarà possibile registrarsi domenica stessa come avvenuto nel primo turno. Questo implica inevitabilmente avere una base elettorale difficilmente espandibile e la campagna elettorale dovrà ripartire dal bacino del primo turno, nel quale lo svantaggio è consistente.
[ad]Dunque l’esito del ballottaggio è già scritto? Non necessariamente, sebbene una rilevazione dell’istiuto Piepoli dia Bersani vincente al 59% con Renzi fermo al 41%. Ma quello che dovrebbe premere di offrire all’informazione politica è uno sguardo scientifico. E i numeri ci consegnano una prospettiva più rosea per il segretario del Pd. Sempre che per assecondare le ragioni ineffabili della propaganda non si voglia ignorare la realtà e dar ragione all’aforisma ironico e paradossale del filosofo russo Lunacarskij, che per riaffermare il primato dell’ideologia su tutto amava dire: “Se i fatti non ci daranno ragione, tanto peggio per i fatti”.