TP intervista Claudio Velardi

TP intervista Claudio Velardi

Termometro Politico ha incontrato Claudio Velardi a margine del seminario “L’importanza del web nella comunicazione elettorale”

[ad]Il seminario si è tenuto Venerdì 11 Marzo 2011 presso Palazzo Grazioli a Roma, sede della società Runnning. Velardi, napoletano classe 1954, ha lavorato a lungo nel campo della politica e della comunicazione, lavorando presso quotidiani nazionali e fondando poi varie società di marketing, produzione mediatica e di public affairs. Ci ha gentilmente concesso una lunga ed interessante intervista esclusiva sull’attuale situazione politica, a partire dagli argomenti del seminario.

Come è andato, secondo lei, il seminario?

Ho visto molta gente. L’attenzione era molto viva. Mi pare che ci sia stata un’intesa generale su come affrontare il tema delle nuove tecnologie e del web. Il web deve essere considerato come uno strumento fondamentale. Non deve essere considerato più di uno strumento perché altrimenti cadiamo in un’ideologia del web. E sarebbe sbagliato. Vista così la Rete può essere uno straordinario strumento a disposizione della politica.

Quanto l’utilizzo del web può spingere a votare la fascia degli astensionisti cronici?

Lo spazio di manovra è tanto. L’astensionismo è di due tipi. C’è un astensionismo dell’elettorato più distante, più lontano, meno acculturato. Questo è un astensionismo difficilmente recuperabile. È una quota di elettori che si riesce a mobilitare solo quando ci sono delle campagne elettorali nazionali. Possiamo definirlo un elettorato secondario che è possibile mobilitare solo in certe circostanze. Il fenomeno che avanza è invece di un astensionismo più moderno. Di gente che si è scocciata della politica per come viene vissuta e interpretata. È un astensionismo colto, ponderato, è un astensionismo ragionato. Molto spesso è l’astensionismo di fasce di persone tra le più attente e solite frequentatrici del web. In questo senso siccome secondo me (non ho indagini scientifiche a proposito) c’è una grande quota di astensionisti composta da frequentatori del web è evidente che agire specificatamente su questo astensionismo da parte della politica e dei politici può almeno aiutare ad intercettare il target giusto. Poi bisogna sempre saper essere convincenti.

Un giudizio riguardo all’istituto delle primarie e sulla loro valenza come fatto politico?

Oramai mi sembrano abbastanza “sputtanate”. Le primarie dovrebbero essere istituite per legge. Dovrebbero riguardare entrambi gli schieramenti politici. Non è così. Vengono utilizzate un po’ a casaccio sulla base di regole ballerine. Si parla molto del caso delle primarie di Napoli delle quali ancora oggi non si conoscono i risultati e, come sempre, viene colpevolizzata la città di Napoli per questi presunti brogli. È anche possibile che questo sia avvenuto ma è l’istituto delle primarie in sé a non avere delle regole chiare, certe, omogenee, cogenti. Per esempio: alle primarie può votare chiunque? Può votare anche l’elettore di un altro partito? Se funziona così, un altro partito si può anche mobilitare per far votare il candidato più debole dell’altra parte in modo da essere avvantaggiato quando si va al voto. Questo solo per fare un primo esempio. Le primarie sarebbero belle se fossero organizzate e strutturate con altre modalità e con altre regole. A tali condizioni potrebbero essere uno strumento effettivo di partecipazione e di legittimazione per i candidati eletti.

Un’impressione rispetto al potenziale politico del “Terzo Polo”

Vedo un grande spazio politico: la gente non ne può più di un bipolarismo di maniera che in questi quindici anni ha funzionato male. Non è soddisfatta né del centrodestra, né del centrosinistra. Può, potrebbe rifugiarsi abbastanza naturalmente nel cosiddetto terzo polo.

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[ad]Una previsione sulla futura organizzazione strutturale del centrodestra

Tutto è legato a Berlusconi. Lo vado dicendo da un sacco di tempo: si devono dare una mossa perché al momento dopo Berlusconi non c’è niente. Si dovrebbero organizzare non contro Berlusconi ma per immaginare il dopo Berlusconi.

Da lobbista di professione può tracciare lo stato dell’arte dell’attività di Lobbying italiana

Il mio mestiere è fare il lobbista. Con la comunicazione politica non si sopravvive perché in Italia il mercato della comunicazione politica è molto ristretto. Con la nostra società, lavoro per le principali aziende italiane. Facciamo incontrare le aziende con le istituzioni sui temi di loro interesse. Non sono particolarmente interessato ad una regolamentazione dell’attività di lobbying perché è il mercato a dover decidere chi fa bene le attività di lobbying e chi no. Detto ciò sarebbe bene avere un minimo – ma proprio un minimo – di regolamentazione. Noi già ci adoperiamo in tal senso perché quando incontriamo i nostri interlocutori istituzionali specifichiamo sin da subito quali interessi rappresentiamo e secondo me questo è già sufficiente.

Si riuscirà a superare in Italia la conflittualità Nord-Sud?

No, non è superabile. Perché le divisioni sono alimentate ad arte da chi ha interessi politici. Sono di Napoli e affezionato al Sud ma discutiamo di una società globalizzata. Vivo la globalizzazione quotidianamente. Mi sembra una questione marginale. Gli sfottò tra “terroni” e “polentoni” sono sempre esistiti. Oggi non hanno ragione di esistere tanto che si presenti un napoletano o un milanese a Bruxelles o a Dusseldorf, a New York o a Vancouver, in sé non vuol dire niente. Se non è intelligente non c’è niente da fare. Spesso il napoletano è più intelligente (sorride).

Come immagina il futuro dell’editoria (quotidiana) tra cartaceo e web?

Il cartaceo inteso come generalista è finito. Questo non vuol dire che non esisteranno più i giornali. Ce ne saranno. Certo che sì. Saranno strumenti “omnibus” come oggi sono i grandi quotidiani nazionali. Per il resto esisterà un’editoria cartacea di nicchia (perché fa sempre piacere avere la carta tra le mani) ma a guidare la carovana sarà il web. Funziona così già oggi. Oramai i giornali vanno a rimorchio della rete e sarà sempre più così.

Giuliano Ferrara in Rai. Trova motivate polemiche e proteste?

La Rai è del Governo e quindi il Governo mette in Rai la gente che piace al Governo di turno. Così come accadeva prima. Prima c’era Biagi, oggi c’è Ferrara. Sarebbe serio privatizzare la Rai. Metterla in mano al mercato così invece di avere la voce del Governo avremmo la voce dell’editore.

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[ad]Se fosse sindaco di Milano che azione di comunicazione svilupperebbe in vista dell’Expo?

Sceglierei un tema vero. Non mi pare che quello prescelto lo sia. Non è semplice dire su due piedi qual è il tema vero del futuro. Sceglierei la singolarità. Per quando sarà superato l’essere umano così come lo conosciamo. Questo è, secondo me, il vero tema del futuro. Ad un certo punto la tecnologia, e sta già accadendo, si svilupperà a tal punto da superare in capacità e potenzialità la biologia dell’essere umano. Questo è un grande tema, non certo le cose di cui si discute. Capisco che parlare di singolarità può apparire “singolare”. Perciò non sono sindaco di Milano.

 

Dove si stanno formando le future classi dirigenti?

Bella domanda….I partiti sono stati fondamentali perché attraverso i partiti si organizzavano le classi dirigenti. Oggi non è più così e temo che non sarà più così. Forse sarà il web a sviluppare strumenti e strutture formative per le nuove classi dirigenti. Al momento si procede a tentoni. Nell’era della globalizzazione la democrazia – la cosa più importante che abbiamo a disposizione – non funziona. Non funziona da nessuna parte e molto spesso la democrazia entra in conflitto con lo sviluppo economico. Basti pensare alla Cina. La Cina ha tassi di sviluppo altissimi perché non c’è democrazia ma grazie a questi tassi di sviluppo diverrà la potenza dominante del pianeta. La globalizzazione apre degli scenari completamente inediti. Diventa difficile prevedere anche quale sarà la struttura politica del mondo.

Progetti futuri?

Istituirò prossimamente una scuola superiore di comunicazione in cui mettere insieme il sapere e il saper fare perché in comunicazione il sapere fare è cruciale.

Giuseppe Spadaro