[ad]La portata dell’accordo di vendita raggiunto da Rosneft e Tnk-Bp in queste settimane trova illustre spiegazione nelle vicende politico-economiche della Russia degli ultimi due decenni. L’ago della bilancia determinante il ruolo e la nuova credibilità geo-politica russa risiede infatti in una costante: il settore energetico. Questo ha assunto un’importanza cruciale nella negoziazione politico-economica interessante i due antitetici periodi della recente storia russa.
A ridosso del crollo dell’Unione Sovietica, petrolio e gas hanno rappresentato lo strumento utilizzato dai nascenti oligarchi al fine di invertire i radicati equilibri di potere, sottomettendo il ruolo egemone della politica ai diktat economici. L’incarico politico di Boris El’tsin, nel lontano 1991, trova infatti una preponderante matrice economica. Gli oligarchi, invertendo una tradizione secolare, benedirono il parroco. Il parroco, trovandosi conseguentemente in una insolita posizione subalterna, non poté compier altro che sancire la celebrazione della liturgia delle privatizzazioni selvagge, esponenziando così la già consolidata influenza degli oligarchi.
Il cambio di millennio generò però una radicale trasformazione nel processo in via di consolidamento, ristabilendo i ruoli tradizionali. L’avvento al Cremlino di Putin, nel maggio del 2000, segna la riconquista dell’egemonia politica sulla sfera economica, seppur attraverso procedure discutibili. Putin, capita la centralità del settore energetico negli equilibri di potere nazionali, costruisce infatti la sua vincente immagine di Übermensch, invertendo la tendenza e trasformando la sin lì redditizia arma economica degli oligarchi in sua arma politica. Inoltre l’arbitrario apparato giudiziario russo, sottomettendosi, sposa la nuova linea politica del Cremlino, sentenziando così il cambio di paradigma. L’epurazione dei business dei primi oligarchi non conformi alle nuove direttive politiche rafforza ulteriormente l’avvertimento, scoraggiando definitivamente alternativi percorsi di opposizione o mancata integrazione. Il secondo tracciato intrapreso da Putin, al fine di ristabilire il ruolo egemone della politica, diviene infatti il ri-acquisto pubblico di ciò che El’tsin era stato costretto a privatizzare, indipendentemente dalla legalità dell’implementazione del progetto. Le giovani S.p.a. russe ritornano così, nel nuovo contesto del libero mercato, a conduzione pubblica attraverso la creazione di società garantenti alla politica il ristabilimento del proprio ruolo egemonico di controllo. La velata pianificazione quinquennale ai tempi del libero mercato non trova però personificazione in grigi e accigliati burocrati ma in brillanti e narcisisti uomini d’affari che, in volgari gessati, si aggirano tra i corridoi della Borsa londinese. Conseguentemente, i nuovi cartelli pubblici, paracadutati nel mercato globale, facilitano la propria meta-narrazione, abbandonando gli impronunciabili nomi sovietici e assumendo orecchiabili sigle in cui abbondano i riferimenti International.
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Il breve prologo storiografico assume pratica empirica nella citata vicenda di Rosneft-TnkBp.
[ad]Rosneft nasce nel 1993 come azienda di Stato sulle ceneri degli assets detenuti da Rosneftegaz, erede a sua volta del USSR Ministry of Oil and Gas. Nel 1995 assume struttura di S.p.a., seppur mantenendo una preponderante partecipazione azionaria statale. Nonostante il cambio di assetto, e le ripetute variazioni manageriali, gli utili non subiscono però rilevanti incrementi. La svolta, concomitante all’insediamento al Cremlino di Putin, arriva tra il 2000 e il 2005, generando un incremento di investimenti e un conseguente aumento di utili. L’inaspettato deus-ex-machina risollevante le sorti della compagnia non si materializza però casualmente. In una delle aste di privatizzazione, condotte dal Cremlino a partire dal 2004, Rosneft infatti acquista la sconosciuta impresa energetica Baikal Finance Group, capitanata dall’odierno CEO di Rosneft, Igor Sechin, la quale “sorprendentemente” aveva acquistato tre giorni prima Yukos, controllante Yaganskneftegaz, importante leader produttivo del settore energetico russo. Rosneft diventa così il secondo operatore russo del mercato, consolidando i propri assets e divenendo importante top-player energetico mondiale. Il 22 ottobre scorso, infine, la compagnia pubblicizza il raggiunto accordo di acquisto di Tnk-Bp. L’assetto azionario di Tnk-Bp, importante leader del settore, presenta un’identica ripartizione di quote tra il colosso britannico British Petroleum e il cartello economico russo AAR. Dietro il misterioso acronimo AAR si celano le figure di tre delle più importanti holding dell’economia russa: Alfa-Group, Access Industries, Renova Group. Esse presentano un similare portafoglio azionario, annoverante investimenti nei settori della metallurgia, delle telecomunicazioni, dei media, delle assicurazioni e delle banche, una similare struttura aziendale, presentante una cittadinanza globale di uffici e partecipate, e una similare organizzazione proprietaria, proponente un controllo azionario maggioritario in capo a singoli oligarchi. L’unica differenza in questo incrocio di interessi è il nome dei protagonisti. Alfa-Group è guidata da Fridman, Khan e Kuzmichov, Access Industries da Blavatnik, Renova Group da Vekselberg.
Rosneft intavola quindi consultazioni riguardo le condizioni di vendita con un duplice soggetto. Ottiene un accordo sul 50% di Tnk-Bp da British Petroleum, garantendo una contropartita di 17,1 mld di dollari cash e di un pacchetto azionario del 12,84% del proprio capitale, intraprendendo successivamente la non difficile persuasione degli oligarchi di AAR, offrendo 28 mld di dollari per l’acquisto del restante 50% delle azioni. La conclusione della transizione, prevista intorno a metà dicembre, consentirà a Rosneft di legittimare la propria posizione di mercato, arrivando a 3,5 milioni di barili di petrolio al giorno e divenendo così primo produttore mondiale del settore.
La stonante recente dichiarazione del Ministro dell’Energia russo, Aleksandr Novak – “Non credo ci siano rischi [di monopolio], da noi c’è una concorrenza piuttosto ampia sul mercato” – consolida infine la rappresentazione putiniana e l’affermato ripristino del ruolo egemone della politica nel contesto della questionabile concezione russa di libero mercato.