Le primarie che decisero la fine delle primarie

Pubblicato il 4 Dicembre 2012 alle 11:57 Autore: Giacomo Bottos

[ad]Le primarie che si sono concluse domenica con il ballottaggio che ha decretato la vittoria di Pierluigi Bersani sono, sotto molti punti di vista le primarie meglio riuscite che il centrosinistra abbia mai organizzato. La partecipazione è stata inferiore ad altri appuntamenti, certo, ma in considerazione del clima di antipolitica diffusa e delle modalità più impegnative che in altre occasioni (doppio turno e registrazione) il dato è comunque ottimo.

Si è trattato delle prime primarie in cui il risultato della competizione era veramente incerto. L’obiettivo della contendibilità, che i teorici delle primarie considerano essenziale, è stato in questo caso pienamente raggiunto.
Inoltre, in queste primarie entrambi i candidati hanno fatto un uso intelligente e consapevole della comunicazione, trasmettendo due immagini molto diverse di sé che facevano esplicitamente capo a due idee contrapposte della politica e delle prospettive per il Paese. Questo è emerso bene anche dallo scontro televisivo del quale, probabilmente per la prima volta in assoluto, quasi tutti i commentatori hanno dato un giudizio positivo.
Infine, l’obiettivo della partecipazione è stato raggiunto non solo nei due giorni delle votazioni, ma anche durante la lunga campagna elettorale. L’interesse con cui la competizione è stata seguita su Internet da innumerevoli utenti (durante il dibattito televisivo l’hashtag #csxfactor è balzato in vetta alle classifiche mondiali) è indicativo di questo.

primarie

Si direbbe dunque che si sia assistito a un vero trionfo delle primarie. Eppure paradossalmente questo voto potrebbe segnare simbolicamente la fine, se non delle primarie in sé, almeno di una certa idea delle primarie che è stata dominante da quando sono state ideate e sperimentate nella seconda italiana. E questa sconfitta potrebbe essere un bene per la sinistra, per la politica e per il paese.

 

L’idea delle primarie nasceva dall’assunto che i partiti tradizionali, quelli della prima Repubblica per intenderci, caratterizzati da un forte impegno dei militanti, improntati a una visione del mondo e ispirati da un intento educativo e formativo nei confronti dei loro appartenenti, fossero destinati ad un’irrimediabile decadenza. Si pensava che il futuro fosse il partito liquido, caratterizzato da un’identità debole, che aggregava schieramenti variabili sulla base di mutevoli programmi elettorali, della rappresentazioni di interessi (comunque da non concepirsi come in conflitto tra loro) e di “narrazioni” che venivano trasmesse prevalentemente attraverso i mezzi di comunicazione. La presenza sul territorio, il lavoro politico quotidiano, la discussione nelle sezioni erano considerati elementi obsoleti, rimanenze di un universo ormai superato, che mal si conciliavano con la “leggerezza” e la “velocità” richieste dal “mondo nuovo”.primarie

Così i partiti non riuscivano però più ad adempiere ad uno dei loro scopi principali, quello di formare le classi dirigenti al loro interno, selezionandole attraverso una presenza capillare sul territorio e dei meccanismi di formazione, sia teorica che “sul campo”. Non è un caso che la qualità del personale politico sia così drammaticamente decaduta.

Dunque, dato che comunque qualcuno andava candidato alle diverse cariche, si fece avanti l’idea che il partito doveva selezionare i suoi candidati all’interno della “società civile”, intendendo in teoria con questo termine il multiforme mondo delle professioni, dell’associazionismo, della società colta e informata, e in pratica ristretti circoli che spesso avevano alle spalle l’appoggio dei mezzi d’informazione e di potenti gruppi privati.

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