La differenza dello staff. Perché ha stravinto Pierluigi Bersani
[ad]Nell’ipocrisia tutta italiana di trovare un vincitore anche quando il distacco elettorale è stratosferico (come da previsioni) ieri sera seguendo le dirette televisive e qualche analisi politica su questa o su quell’emittente si è assistito ad un esercizio – altrove singolare – di appiccicare in qualche modo anche a Matteo Renzi una qualche forma di successo.
Difficile non riconoscere al sindaco di Firenze l’importanza di aver aggregato un 40% di consensi, partendo dal 36% del primo turno, attorno ad una proposta libdem a sinistra e, probabilmente, oltre la tradizionale linea di confine destra/sinistra. Peccato per lui che ciò si sia tradotto in un distacco di 20 punti percentuali, non esattamente un risultato tale da aprire una bottiglia di champagne e cominciare a spargerlo a fiotti ai quattro angoli del paese.
In fondo, è stato proprio il candidato che ha legato la sua ascesa mediatico-politica al tema del rinnovamento generazionale a dichiararsi pienamente sconfitto, al punto da accettare la “rottamazione” della sua offerta politica in favore dell’usato sicuro bersaniano. È un punto da cui ripartire per le analisi del giorno dopo. L’insuccesso è stato limpido e netto. E va iscritto pienamente alla campagna elettorale disastrosa di Matteo Renzi, altra cosa che ha ammesso senza giri di parole nel concession speech di ieri sera a Firenze. E alle abilità della strategia di Pierluigi Bersani, largo vincitore di ben due primarie consecutive nel giro di un triennio.
Partiamo con i punti di forza della campagna del segretario del Partito Democratico:
L’usato sicuro. Pare aver contraddetto una regola della comunicazione politica: mai consentire all’avversario di cucirti addosso un’identità prima che tu possa definire la tua. Nell’habitus del custode della socialdemocrazia e dell’apparato Bersani si è trovato a suo agio, sapendo contare dei numeri schiaccianti di partenza che ciò li poteva garantire. Partire da 1,3 milioni di elettori non è un cattivo affare.
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