[ad]E così sarà Pierluigi Bersani il candidato alla Presidenza del Consiglio della coalizione di centrosinistra Italia Bene Comune. Il segretario del Partito Democratico ha infatti convintamente vinto il ballottaggio delle elezioni primarie, che lo vedeva contrapposto al sindaco di Firenze Matteo Renzi. Bersani si è infatti imposto con un solido 60,9% a 39,1%, vincendo in diciannove regioni su venti oltre che nella circoscrizione estero e lasciando al proprio rivale solo la Toscana.
Il popolo di centrosinistra è riuscito ancora una volta a stupire, mostrando un attaccamento ed una fedeltà assolutamente incrollabili nei confronti di uno strumento – le primarie – che è rapidamente diventato un simbolo della scalabilità di questa area politica e quindi un segnale di rinnovamento e trasparenza.
La settimana che ha separato il primo turno dal ballottaggio, infatti, non è sicuramente stata tra le più semplici per il PD e per il centrosinistra: la campagna elettorale, fino a quel momento caratterizzata da toni decisamente sereni e pacati e da una discussione estremamente orientata ai contenuti, ha bruscamente virato portando la discussione sul tema della partecipazione e sulle regole delle primarie.
Le scene a cui si è assistito sono state anche sgradevoli, e hanno visto da un lato decreti interpretativi delle regole che non possono non richiamare alla mente il caso delle elezion
Malgrado questi episodi potessero in qualche modo scoraggiare la partecipazione al secondo turno, il dato finale dei voti validi al ballottaggio è stato 2.802.382, pari a poco meno del 90% del numero dei voti validi del primo turno. Se si considera il naturale calo dei votanti a cui si assiste tra il primo ed il secondo turno di una competizione elettorale ed il clima avvelenato che ha contraddistinto l’ultima settimana di campagna, si tratta di un dato assolutamente di tutto rispetto.
Attraverso l’analisi, anche geografica, dell’evoluzione del voto tra il primo ed il secondo turno è possibile comunque arrivare a definire alcuni punti fissi che costituiscono la base politica da cui adesso la coalizione di centrosinistra può e deve ripartire per affrontare gli appuntamenti elettorali decisivi: le elezioni regionali di Lazio, Lombardia e Molise, le elezioni comunali di Roma, e soprattutto naturalmente le elezioni politiche.
Risultati delle primarie del centrosinistra 2012 |
Il primo dato che emerge dalla tabella, reperibile in formato excel nella pagina dei download, al di là l’affluenza è ovviamente il risultato: Bersani 60,89% – Renzi 39,11%. Un risultato netto, che evidenzia un orientamento preciso nelle scelte degli elettori di centrosinistra; un risultato, inoltre, maturato in maniera pressoché uniforme dal punto di vista territoriale, visto che Bersani lascia a Renzi solo la Toscana, e rispetto al primo turno recupera e sorpassa il sindaco di Firenze in Umbria e Marche.
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[ad]Se da molti, soprattutto dopo il primo turno, la vittoria di Bersani era apparsa in ogni caso ormai scontata, l’entità del distacco e le modalità attraverso cui il risultato definitivo è stato raggiunto offrono spunti assolutamente rilevanti.
Bersani raccoglie 1.706.457 voti, mentre Matteo Renzi si ferma a 1.095.925 preferenze. Nel corso del primo turno i due si erano fermati rispettivamente a 1.414.847 e 1.120.176.
Questo significa che il segretario PD ha guadagnato 291.610 voti, mentre il sindaco di Firenze ne ha persi 24.251. D’altra parte, Bersani poteva contare sull’endorsement di tutti i candidati sconfitti al primo turno, Tabacci, Puppato e soprattutto Vendola, mentre Renzi in qualche modo era costretto a strappare con le unghie e con i denti i voti non solo a Bersani, ma anche agli altri candidati (e uno dei fattori di analisi più interessanti è proprio il tasso di fedeltà degli elettori ai propri leader di riferimento); proprio per questa ragione il tema dell’allargamento della platea elettorale, sopito durante tutto il primo turno, è diventato così dirimente al momento del ballottaggio: era chiaro che solo cambiando la composizione dei partecipanti il sindaco di Firenze avrebbe avuto delle chance di vittoria.
Confronti tra primo turno e ballottaggio delle primarie del centrosinistra 2012 |
La tabella sopra riportata evidenzia i rapporti nel voto tra il primo ed il secondo turno, disaggregando i dati su base provinciale.
I dati calcolati, pur non arrivando alla precisione di altre tecniche statistiche, permettono di offrire un dettaglio dei flussi di voto sufficientemente preciso e affidabile per trarre alcune conclusioni di profonda importanza politica.
In primo luogo emerge il dato squisitamente geografico: le cinque province migliori di Matteo Renzi sono nell’ordine Arezzo, Pistoia, Prato, Lucca e Firenze, quindi tutte province toscane. Un dato certamente atteso, che dimostra da un lato come il sindaco di Firenze ottenga – al di là del classico supporto di bandiera – un apprezzamento notevole da chi ha avuto modo di constatare direttamente il suo operato, ma dall’altro come Renzi si sia dimostrato incapace di conquistare in campagna elettorale gli elettori di centrosinistra delle altre regioni. Uno smacco mediatico che sicuramente dovrà far riflettere il sindaco di Firenze.
Bersani, d’altro canto, ottiene i propri migliori risultati in quattro province sarde e una calabra: nell’ordine Vibo Valentia, Ogliastra, Nuoro, Medio Campidano e Carbonia-Iglesias. L’ottimo risultato sardo di Bersani, che ricalca in buona parte quello delle primarie 2009, deriva indubbiamente dall’appoggio incondizionato del PD locale, dove nessun dirigente di peso si è speso per Renzi; non è tuttavia nemmeno da sottovalutare l’endorsement del sindaco cagliaritano Zedda, indubbiamente in grado di portare ampiamente acqua al mulino di Bersani.
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[ad]Come già era emerso nel corso del primo turno, non è possibile identificare una correlazione diretta tra i risultati dell’uno e dell’altro candidato e l’affluenza alle urne: se infatti si considerano le province in cui il calo dell’affluenza tra primo e secondo turno è stato maggiore si trovano Barletta-Andria-Trani, Bari, Napoli, la circoscrizione estero e Brindisi: in tre casi su cinque si tratta di province pugliesi, e in un altro caso, Napoli, di una realtà dove comunque Vendola aveva ottenuto ottimi risultati. Il maggior apporto al calo dell’affluenza tra primo e secondo turno, quindi, è da identificare senza ombra di dubbio nei molti elettori vendoliani che nell’impossibilità di votare il proprio leader si sono rifugiati nell’astensione.
Al contrario, le province più fedeli tra primo e secondo turno si sono dimostrate Prato, Mantova, Arezzo, Reggio Emilia e Siena. È indubbiamente vero che tre su cinque sono toscane e quindi feudi renziani, ma è anche vero che tutte e cinque sono parte della cosiddetta “zona rossa” dell’Italia: la vera correlazione che si cela nella partecipazione al ballottaggio, quindi, è da ricercarsi più nell’orientamento politico generale a livello geografico che alle zone di influenza dei due candidati. La partecipazione al secondo turno delle primarie è stata maggiore nelle aree tradizionalmente di sinistra, dove il senso di appartenenza e di militanza all’area politica sono vissuti anche e soprattutto come partecipazione.
Per comprendere tuttavia il reale peso dell‘elettorato dei candidati esclusi al primo turno nelle operazioni di ballottaggio sono stati messi a confronto i risultati del secondo turno con la somma dei voti presi da Renzi e Bersani al primo: in cinque province su 111 (contando metaforicamente come provincia la circoscrizione estero) il numero di voti totali al ballottaggio non ha nemmeno raggiunto quello dei due candidati maggiori alla prima tornata: Caltanissetta, Enna, Crotone, Trapani e Ogliastra. Si tratta in generale di province del sud, e ben tre su cinque sono in Sicilia, e appaiono in massima parte come episodi di “stanchezza” e di peso verso le complesse regole imposte dall’apparato. Rilevante è tuttavia il caso dell’Ogliastra, dove Bersani ottiene un risultato altissimo in un clima di calo, pur minimo dei voti: in questa provincia, sostanzialmente, l’effetto combinato dell’astensione e dell’apporto dei candidati minori si è dimostrato nullo, e il voto del ballottaggio si è dimostrato di fatto una replica – per Bersani e Renzi – dei risultati assoluti ottenuti al primo.
Per contro, le province dove il numero di voti al secondo turno è stato maggiore rispetto alla somma dei voti di Bersani e Renzi al primo turno sono state Bari, Lecce, Brindisi, Taranto e Treviso: in tutti i casi si tratta di province dove erano particolarmente forti dei candidati minori, nei quattro casi pugliesi Vendola e in quello Veneto la Puppato. L’analisi numerica del dato, quindi, consente di stimare circa nel 50% l’elettorato vendoliano – la fetta più rilevante tra quelle degli sconfitti al primo turno – che si è recato alle urne al ballottaggio secondo le indicazioni del presidente della Puglia.
Passando dall’analisi dei dati dell’affluenza a quelli più prettamente legati ai risultati, la prima analisi riguarda i risultati di Bersani su Bersani, ovvero gli scostamenti del voto al segretario PD tra primo e secondo turno. I dati peggiori Bersani li ottiene a Caltanissetta, Enna, Trapani, Ogliastra e Crotone (nei primi quattro casi non viene nemmeno raggiunto il livello di voto del primo turno). Si tratta di province caratterizzate da bassa affluenza ma anche da affermazioni di Bersani generalmente al di sopra della media nazionale: in generale, quindi, Bersani soffre in termini di voti assoluti dove l’affluenza scende e quindi non può godere dell’apporto del voto dell’elettorato dei candidati minori in supporto dei naturali moti verso l’astensione, ma in termini percentuali si conferma su altissimi livelli a causa sostanzialmente del voto dei militanti.
Il peso che l‘endorsement di Laura Puppato e Nichi Vendola si mostra in pieno osservando le province dove Bersani ha invece guadagnato di più rispetto al primo turno in termini di voti assoluti: Bari, Brindisi, Lecce, Treviso e Belluno, le prime tre feudi vendoliani, le uniche tre realtà dove al primo turno il presidente pugliese aveva superato Bersani, le altre due in terra veneta, dove la Puppato ha ottenuto le sue migliori prestazioni.
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[ad]Scendendo nel dettaglio del peso del voto di Vendola, è interessante osservare i risultati di Bersani comparati sul numero di voti ottenuti da Bersani stesso e da Vendola al primo turno. La composizione del voto al primo turno è formata dal 75% circa per Bersani e 25% circa per Vendola. Al secondo turno, i voti per Bersani sono stati l’89% della somma dei suoi voti e di quelli di Vendola al primo turno. Una conferma che, al netto degli altri effetti come l’astensione e il voto proveniente da altri candidati, circa metà degli elettori di SEL sono confluiti su Bersani.
A livello geografico, Bersani ottiene i suoi risultati peggiori in questa scala proprio a Bari, Barletta-Andria-Trani, Brindisi, Taranto e all’estero. Escluso quest’ultimo caso poiché legato ad un calo robusto di affluenza a livello generale non riconducibile a questo o quel candidato, non devono stupire i risultati delle province pugliesi: da un lato perché il semplice numero di voti per Vendola era tale che sottrarne la metà comporta un grande calo a livello assoluto, poi perché in Puglia tanto Laura Puppato quanto Bruno Tabacci hanno ottenuto risultati troppo bassi per essere rilevanti, e infine perché proprio in Puglia si deve considerare una componente di voto campanilistico per Vendola che al secondo turno si è rifugiata nell’astensione.
Le province che invece mostrano i risultati migliori sono state Treviso, Vicenza, Belluno, Padova e Mantova: quasi tutte in Veneto, dove l’apporto di Laura Puppato ha abbondamente gonfiato di numeri di Bersani permettendogli di raggiungere e a volte superare la soglia del 100% in questa particolare rilevazione.
Spostando il focus a tutti i candidati esclusi dopo il primo turno, e confrontandolo con i risultati di Bersani, si può ottenere un’analisi generale di quanto gli appoggi dichiarati da Vendola, Puppato e Tabacci abbiano realmente aiutato Bersani. A livello nazionale i voti dei tre candidati sconfitti erano il 30% circa dei voti di Bersani. Al secondo turno Bersani ha ottenuto l’84% della somma dei voti presi al primo turno da sé stesso e dai tre candidati minori. Bilanciando il dato con l’astensionismo, emerge che poco meno di metà dei voti di Bruno Tabacci, Nicola Vendola e Laura Puppato sono confluiti su Bersani.
A livello geografico i dati peggiori ricalcano quelli dell’analisi precedente, dimostrando il peso di Vendola nella platea dei candidati minori.
Osservando invece le province dove Bersani va meglio in questa particolare rilevazione, emergono Reggio Emilia, Ravenna, Modena, Piacenza e Mantova. Province rosse, province caratterizzate da una forte componente di voto d’opinione ma dove di per sé nessuno dei candidati minori aveva ottenuto risultati eccezionali, ma anche province dove Renzi perde molti voti, evidenziando quindi un flusso forse inatteso di voti che si sono spostati da Renzi a Bersani.
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[ad]Proprio l’analisi dei dati di Renzi tra primo turno e ballottaggio consente di completare il quadro di queste avvincenti primarie.
Caltanissetta, Olbia-Tempio, Crotone, Agrigento e Palermo sono le province dove Matteo Renzi perde il maggior numero di voti tra primo e secondo turno. Con la sola eccezione di Caltanissetta, si tratta di aree dove Bersani guadagna voti al ballottaggio, per di più in un contesto di forte calo dei votanti tra primo e secondo turno. Senza livelli di dettaglio più approfonditi diventa complesso capire se vi sia stato anche in questo caso un flusso diretto di voti da Renzi a Bersani oppure se Bersani abbia pescato dai candidati minori mentre Renzi sia stato vittima dell’astensionismo: indubbiamente, sia che i voti di Renzi siano finiti a Bersani, sia che si siano dissolti nell’area del non-voto, la prestazione del sindaco di Firenze in queste zone – dove, è bene ricordarlo, nessuno dei candidati minori era su livelli particolarmente alti – è stata deludente.
Ribaltando il caso, Renzi riesce a incrementare in maniera anche sostanziosa i propri consensi a Matera, Brindisi, Bari, Benevento e Barletta-Andria-Trani; il forte successo di Vendola in queste province evidenzia come vi sia stata una parte di elettorato di Vendola, stimabile tra il 15% e il 20%, che ha scelto di sostenere il sindaco di Firenze malgrado la preferenza espressa dal presidente pugliese.
Come era quindi prevedibile, in un contesto di elettorato sostanzialmente chiuso tra primo e secondo turno a fare la differenza sono stati gli endorsement a Bersani di Nichi Vendola e Laura Puppato, che hanno fornito serbatoi di voti importanti in Puglia e Veneto. Renzi ha saputo cogliere il supporto di una pur modesta parte di elettorato vendoliano, ma ha anche dimostrato una capacità inferiore di trattenere il proprio elettorato, tanto verso l’astensione quanto, sia pure in piccola parte, verso Bersani.
Indubbiamente le polemiche dell’ultima settimana non hanno giovato a Renzi, che probabilmente è stato visto in atteggiamenti troppo berlusconiani – la caciara sulle possibilità di voto al solo ballottaggio, il tentativo di ignorare le regole indicando ai sostenitori di recarsi alle urne anche senza avere i requisiti richiesti – per poter attirare nuovi gradimenti e strapparli a Bersani.
Paradossalmente, Renzi ha peccato proprio nella comunicazione, appiattendosi sulla figura del rottamatore (il cui effetto è cessato dopo che Veltroni e D’Alema hanno annunciato di non volersi più candidare) e di figura gradita al mondo di destra, autoproclamandosi quasi un corpo estraneo in una platea di simpatizzanti che, pur auspicando spesso il cambiamento, sono comunque per definizione estremamente legati alla loro identità e alla loro eredità storica.