[ad]Nei giorni in cui l’ipotesi di una nuova discesa in campo di Berlusconi è diventata realtà, interessante può essere proporre la storia di uno dei suoi discepoli più riusciti. Nonostante la probabile inconsapevolezza del Cavaliere di aver fatto internazionalmente scuola, il profilo dell’oligarca ucraino Rinat Akhmetov ritraccia fedelmente gli importanti passi compiuti sulla scena pubblica dall’ex Primo Ministro italiano. Le radici di comunanza tra i percorsi dei due imprenditori si sviluppano lungo una triplice direzione: economia, calcio e politica. L’identico comune obiettivo è univoco: la costruzione di un‘immagine di successo.
Se nell’ascesa di Berlusconi si possono individuare due fasi temporali separate – i primi anni ’90, simbolo della sua affermazione imprenditoriale e dei successi mondiali del Milan di Sacchi, e il primo decennio del nuovo secolo, diapositiva del suo amore per le belle signore e del logoramento generatogli dal potere – nel brillante percorso di Akhmetov risulta molto complicato tracciare dei confini temporali, principalmente a causa della sua ancor oggi ascendente parabola.
Ma come ha potuto il figlio di un minatore e di una commessa, in un Paese a mobilità sociale inesistente, diventare uno dei principali oligarchi?
La risposta si intreccia tra il percorso personale di Akhmetov e la recente storia economico-politica ucraina. L’alone di mistero che avvolge l’iniziale scalata al potere dello spiantato proletario di Donetsk si sovrappone alle prime vicende dell’imprenditore di Arcore. In entrambi i casi le radici del successo prendono forma nello sconnesso terreno del crimine organizzato e della complicità politica. L’oligarca ucraino, tra il 1985 e il 1995, risulta infatti essere, in virtù della sua linda biografia, il braccio economico ripulente i denari prodotti dai loschi business del capo-mafia Akhat Bragin. Il parallelo con Berlusconi trova in questo contesto la prima similitudine. Seppur Akhmetov, coerentemente con lo scenario ucraino, investe nel settore della metallurgia e Berlusconi, sfruttando il boom economico degli anni ’80, nel settore dell’edilizia.
La seconda similitudine alla base del parallelo successo assume natura politica. In Ucraina, l’oligarca di Donetsk, si assicura la complicità del governativo partito di Kuchma, uomo forte della politica di Kiev a ridosso della caduta dell’Unione Sovietica. In Italia, il self-made man della bassa Brianza, trova specularmente nelle legislature socialiste capeggiate da Craxi il semaforo verde alle sue nascenti attività imprenditoriali.
La parallela ascesa, necessitante incrementali percentuali di consenso nazionale intorno alla propria immagine, trova in seguito nuova linfa in una delle passioni nazional-popolari ucraine ed italiane: il calcio. Silvio Berlusconi, resuscitando la terribile stagione degli anni ’80, offre alla piazza milanista, in cambio di nuova popolarità, il progetto di una rivincita mondiale capitanata da Sacchi e dai tre tulipani olandesi. Identicamente, Akhmetov, rilevante lo Shakhtar Donetsk a seguito dell’omicidio del boss Bragin, ripromette ai tifosi un rilancio calcistico che porterà la squadra ucraina ai vertici nazionali ed europei.
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Il consolidamento della propria immagine di successo necessità però di un’ulteriore scacco capace di legittimare definitivamente il proprio appeal sulla scena pubblica. Berlusconi, trovando nella sconclusionata normativa regolante la materia televisiva l’ultimo avamposto della propria affermazione, legittima così il suo volto di rinnovatore, utile di lì a poco alla sua discesa in campo politica. Parallelamente, Akhemtov, veicolando la sua Telekanal Ukrayina da un broadcasting regionale (Donetsk) ad una capacità trasmissiva nazionale, afferma i suoi meriti economici e sigla un patto di servilismo mediatico con la nascente classe politica ucraina.
[ad]La costante differenza di timing a vantaggio di Berlusconi, le sue mosse anticipano sempre di un decennio la biografia di Akhmetov, si ripropone anche nel momento del consolidamento politico dei successi personali. Anzi, in virtù delle diverse dinamiche nazionali, questo diventa la snodo differenziale tra il percorso berlusconiano e il percorso dell’oligarca ucraino.
Berlusconi, indirettamente coinvolto nella vicenda di Tangentopoli dalla perdita dei suoi riferimenti politici, incontra nella tutela dei suoi interessi economici e delle sue vicende giudiziarie la necessità di un intervento politico. Esponendosi in prima persona, consolida la sua immagine di uomo di successo, rinnovando il decimato panorama politico italiano e garantendo agli elettori, attraverso la propria storia personale, la riscrittura di un “nuovo miracolo italiano”. Akhmetov, avvantaggiato dallo scenario politico ucraino, riesce contrariamente a mantenere una longevità della sua immagine pubblica ricoprendo un ruolo politico di secondo piano. Terminati gli accesi sfoghi della Rivoluzione Arancione, l’entourage politica di Donetsk, capitanata dall’odierno Presidente Viktor Yanukovych, può infatti agilmente re-insediarsi al comando del Paese, traendo cinico saggio profitto dalle precedenti esperienze di governo (2002-2005, 2006-2007). La necessità di Akhmetov di ricoprire posizioni politiche di primo piano, così come quella dei principali businessmen ucraini, risulta così superflua. Infatti, gli oligarchi di Donetsk, consci dei propri profili giudiziari compromessi, scelgono un entourage governativo-presidenziale capace di offuscare i loro passati poco trasparenti, evitando contemporaneamente un’esposizione mediatica controproducente. Si arrogano però il compito, dietro il tirato sipario politico, di determinare indirettamente indirizzi legislativi-parlamentari capaci di tutelare le proprie attività economiche e le proprie diatribe giudiziarie. In questo modo la gogna mediatica non giunge a sentenziare i loro profili personali, assicurando così una più longeva parabola al successo dell’oligarca ucraino rispetto alla vicenda berlusconiana.
Nonostante i recenti subbugli gattopardeschi, Berlusconi, non sembra infatti oggi in grado di replicare la sua parabola di successo, riaffermando la propria immagine sulla scena pubblica. Contrariamente, Akhmetov, e il sistema endemico di affiliazione ucraina, hanno incontrato nella complicità politico-economico-giudiziaria un collante capace di garantire continuità alle vicende personali e al successo degli interpreti, arrivando a ritracciare le tristi pagine raccontanti il capillare funzionamento della loggia P2 e liberandosi definitivamente dell’ingombrante univoca ombra del suo inconsapevole profeta.