Marxisti tabacciani, comunisti reazionari e apparati: i significati di una nuova forma di satira

[ad]La satira dei Marxisti per Tabacci ha attirato una discreta attenzione nelle ultime settimane per l’oggettiva comicità dell’accostamento proposto, per il successo del tutto inaspettato che ha suscitato, per l’eco sui media e per l’apprezzamento che lo stesso Tabacci ha dimostrato per questa iniziativa.

Di recente Livio Ricciardelli, proprio sulle pagine del Termometro Politico (nell’articolo I marxisti per Tabacci. La mitizzazione tardiva dell’universo sovietico) ha svolto alcune riflessioni e lanciato degli spunti interessanti riguardo a questo fenomeno. Vorrei discuterne e svilupparne in particolare uno, arrivando però a conclusioni parzialmente diverse da quelle suggerite nell’articolo che ho citato.

L’idea suggerita da Ricciardelli è che il fatto che si faccia satira sull’universo simbolico sovietico e più in generale sulla storia del comunismo sia significativo di un probabile mutamento antropologico in corso nel “popolo della sinistra”. In passato non si sarebbe cioè probabilmente scherzato su questi temi, ci sarebbe stato un imbarazzo o una difficoltà a mettere in evidenza, sia pure ironicamente, figure, personaggi e stilemi propri della tradizione comunista e sovietica. Il fatto che ora invece venga fatto e susciti così tanto entusiasmo dev’essere indice di un qualche cambiamento nel modo di sentire.

Questa tesi è interessante e probabilmente veritiera anche per il fatto che la pagina “Marxisti per Tabacci” non è un caso isolato. C’è tutto un sottobosco di pagine Facebook che presentano, in una serie infinita di variazioni sul tema, in forme più o meno riuscite, tematiche affini. Esempi di satira sono il Partito Comunista Reazionario, un immaginario partito che coniuga nel suo Pantheon personaggi della tradizione comunista, ecclesiastici, reazionari contro il nemico comune del “nuovo”, L’Apparato, che rovescia ironicamente l’esecrazione che viene fatta nel discorso pubblico delle pesanti macchine burocratiche dei partiti e dello stato o altre pagine dai nomi eloquenti come Le avventure di baffone, Botteghe oscure e molte altre.

Oggetto del revival satirico non sono solo la storia del comunismo e dell’Unione Sovietica in particolare, ma anche miti e riti della prima Repubblica. Tutto questo ha probabilmente un significato preciso. Venendo a conclusione in questo periodo quella che è stata chiamata seconda Repubblica cadono tutti i principali tabù sui quali questa era stata costruita. Occhetto costruì la “svolta” che portò il PCI a diventare PDS su un’idea di alterità assoluta rispetto al passato, sull’idea che si potesse andare verso un mondo assolutamente “nuovo”. Questa idea fece sì che il passato venne semplicemente rimosso e non elaborato criticamente. Tutto l’insieme delle culture politiche della prima Repubblica (non solo i comunisti quindi, ma anche democristiani e socialisti) era oggetto di un’esecrazione generica: si trattava delle “ideologie del Novecento”, della “vecchia politica”. Tutti diventavano “liberali” dove la genericità del termine gli faceva perdere qualunque significato e riferimento ad una tradizione che aveva anch’essa avuto complessità, sviluppo, interecci e dialoghi con le altre grandi culture politiche.
Il risultato principale di ciò fu che la nuova generazione che nella seconda Repubblica crebbe e studiò aveva in genere solo un’idea molto approssimativa e deformata di quel passato. Del resto molti speravano che quella generazione avrebbe potuto andare oltre le vecchie contrapposizioni proprio per non averle conosciute, per essere nata e cresciuta in questo clima di oblio collettivo. I cosidetti “nativi del PD”.

(per continuare la lettura cliccare su “2”)

Questo progetto (purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista) è evidentemente fallito. Questa crisi che ha condotto allo sfaldarsi dei cardini ideologici della seconda Repubblica ancora prima che dei poteri politici che ad essa appartenevano, ha portato con sé un tentativo di riappropriarsi del passato dimenticato. Questa riappropriazione è collettiva ma vede in prima fila proprio quei giovani che il vecchio sistema della seconda Repubblica metteva al centro del proprio discorso (ma solo del proprio discorso) in vari modi.

[ad]Perchè questa riappropriazione assume la forma della satira? Per varie ragioni. In primo luogo perchè il linguaggio della satira è stato uno dei principali linguaggi con cui negli ultimi vent’anni si è parlato di politica. In un processo (che ho provato a ricostruire in questo articolo) di progressiva “iperpoliticizzazione” e democratizzazione della satira il linguaggio satirico tende ad autodistruggersi e a farsi l’unico spazio all’interno del quale la verità può essere detta, seppur in forma paradossale. L’esperienza di Spinoza.it è stata significativa in questo senso. Agganciandosi a notizie reali, ricalcando la forma del lancio di agenzia, le battute di Spinoza.it spingevano a prendere atto dell’intrinseca assurdità e “falsità” del mondo dell’informazione, della politica mediatizzata, dell’infotainment.

Qui la satira svolge una funzione opposta. Non obbligando a prendere sul serio tutto ciò che si dice, aiuta l’opinione pubblica a riprendere familiarità con un passato che contiene indubbiamente atrocità ed errori drammatici, ma che non può nemmeno essere schiacciato (specie per l’esperienza del comunismo italiano) sulla piattezza semplicistica della condanna generalizzata. Scherzare su un linguaggio, su delle immagini per riprendere familiarità con esse, per potere in futuro discernere tra di esse con beneficio d’inventario.
In modo da potersi congedare da ciò che di quella storia deve essere congedato e invece trattenere ciò che può essere utile per una costruzione futura, per la creazione di quelle nuove ideologie politiche nuove di cui abbiamo un disperato bisogno.

Sì, perchè ciò che in fondo questo tipo di satira esprime, al di là di tutto, è un fortissimo bisogno di Politica. Bisogna cercare le forme attraverso le quali questo desiderio di partecipazione può essere incanalato ed espresso. Recuperare il rapporto con la storia e con il pensiero del passato è in fondo funzionale alla costruzione di una nuova politica oggi, una politica che non prescinda dai nuovi linguaggi e dai nuovi media, ma che se ne serva.

Per questo, è inutile dirlo, il linguaggio della satira e i social network non basteranno. Ma le esigenze si esprimono con i linguaggi che si sono imparati e all’interno del mondo come lo si conosce. Una volta diagnosticata questa esigenza si dovrà prima o poi, a livello collettivo, fare un passo avanti.

Per dirla con il buon vecchio Carlo Marx: i comunicatori, gli analisti politici, i comici e i gestori di pagine Facebook hanno solo diversamente interpretato il mondo, si tratta ora di cambiarlo.