[ad]Sebbene il ritorno sulla scena politica di Silvio Berlusconi, con tanto di crisi di governo e sempre più probabili elezioni anticipate nel mese di febbraio, abbia in qualche modo calamitato l’attenzione dei media distogliendolo dagli eventi politici in corso prima delle dichiarazioni shock del Cavaliere, lo svolgimento delle primarie del centrosinistra e immediatamente dopo delle “parlamentarie” del MoVimento 5 Stelle è un elemento di importanza democratica tale da meritare analisi più approfondite di quelle finora dedicate, in particolar modo sulle implicazioni sociali e sociologiche che scaturiscono dal raffronto dei due eventi.
È bene in primo luogo evidenziare le debite differenze in termini di finalità delle due consultazioni: le elezioni primarie del centrosinistra servivano per esprimere il leader della coalizione progressista Italia Bene Comune, ovvero a vincolare i gruppi parlamentari che comporranno questa coalizione a valle delle prossime elezioni politiche a indicare come Presidente del Consiglio il nome del vincitore delle primarie e a sostenerne l’azione di governo – in caso di vittoria – e in generale la linea politica.
Le parlamentarie tenute dal MoVimento 5 Stelle, invece, hanno riguardato direttamente i parlamentari: i votanti hanno ovvero potuto determinari quali persone e in quale ordine avrebbero composto le liste elettorali del MoVimento 5 Stelle.
Certamente si tratta di due aspetti complementari: da un lato si sceglie un leader, ovvero si “forza” il sistema parlamentare previsto dalla Costituzione italiana vincolando gli eletti di un certo partito a proporre un determinato nome come Presidente del Consiglio, ma non si interviene direttamente dal basso per determinare la reale composizione delle liste elettorali che determineranno chi deve entrare in Parlamento.
Dall’altra, con le parlamentarie, invece si concorre alla formazione delle liste elettorali lasciando mani libere agli eletti – in una visione indubbiamente più consona alla forma politica prevista dalla Carta – sulla scelta del capo del Governo.
Da un punto di vista prettamente qualitativo, quindi, l‘”operazione parlamentarie” compiuta dal MoVimento 5 Stelle risulta migliore di quella effettuata dal centrosinistra, e questo non solo perché più vicina al solco tracciato dalla Costituzione, ma anche perché è effettivamente il Parlamento, più che il Governo, il principale bersaglio delle critiche dell’antipolitica, il principale ricettacolo dei privilegi da abbattere, la principale espressione del potere della Casta.
Spostando tuttavia il focus dal tipo di consultazione alle modalità di svolgimento, e quindi dall’analisi di merito a quella di metodo, lo scenario cambia radicalmente.
Da un punto di vista più “filosofico” la differenza fondamentale tra le primarie di Italia Bene Comune e le parlamentarie del MoVimento 5 Stelle risiede nella determinazione della platea dei votanti.
Il centrosinistra, pur in uno scenario di chiusura rispetto alle precedenti elezioni primarie, ha mantenuto il concetto di fondo di proiezione verso l’esterno che tanto successo ha portato a questo genere di elezioni: la dichiarazione di elettore di centrosinistra, l’accettazione del programma e il pagamento dei 2 € previsti dal regolamento sono passi che non impedivano formalmente l’accesso al voto da parte di chicchessia, consentivano al comune cittadino, simpatizzante o semplicemente interessato ad influenzare con il proprio voto l’esito dell’elezione, di poter partecipare senza particolari problemi. Erano esclusi soltanto – per ovvie ragioni – coloro che in quel momento coprivano cariche amministrative nelle fila di partiti e coalizioni avversarie di IBC.
Il MoVimento 5 Stelle ha scelto un approccio completamente diverso, blindando il voto assegnando il diritto di esprimere le proprie preferenze soltanto agli iscritti; per evitare iscrizioni al partito mirate alla semplice partecipazione alle primarie, inoltre, il M5S ha richiesto che l’iscrizione fosse attiva almeno da alcuni mesi. Questo ha di default limitato la platea degli aventi diritto di voto a circa 200.000 persone, un insieme ermeticamente chiuso che trasformava il resto del Paese in semplice spettatore.
(per continuare la lettura cliccare su “2”)
[ad]La dialettica tra partecipazione e preservazione dell’identità, tra contaminazione da parte della società civile e autodifesa da OPA ostili è naturalmente un tema aperto, ed è difficile definire con certezza quale sia la posizione più corretta che un partito possa tenere in un simile frangente.
Ogni scelta ha i propri vantaggi e svantaggi, ma proprio ragionando sulle – pur legittime – scelte intraprese si possono cogliere alcune importanti considerazioni sullo spirito che anima rispettivamente il centrosinistra e il MoVimento.
I progressisti hanno scelto di non rinunciare, in ultima analisi, all’apporto della società civile, di portatori di idee e interessi anche esterni – ma sempre compatibili – rispetto alla cultura dei partiti della coalizione. Italia Bene Comune si è presentata come una coalizione se non propriamente scalabile quantomeno indirizzabile, entro certi limiti, dall’esterno.
Al contrario l’autodifesa e la non contaminazione del voto sono stati i dogmi delle parlamentarie del MoVimento 5 Stelle: l’area dei simpatizzanti, di quella massa inerziale che non desidera affrontare gli oneri della militanza ma che non disdegna forme di partecipazione più light è stata completamente esclusa dalla votazione, così come sono mancati gli apporti della cosiddetta “società civile”.
Sarebbe indubbiamente facile rinfacciare al MoVimento, che si propone proprio di portare i comuni cittadini al potere, una scelta che invece esclude i cittadini dai processi decisionali del partito; e sarebbe altrettanto facile vedere nella paura la causa prima di un simile gesto.
Paura di infiltrazioni di simpatizzanti di altre aree politiche, paura del potenziale peso di interessi di potere sgraditi, paura anche – almeno per i detrattori del MoVimento – dell’inevitabile perdita di controllo di Grillo e Casaleggio sulla vita quotidiana del partito.
Vi sono tuttavia ragioni ancora più profonde a motivare una simile scelta, ragioni che devono indurre a profondi ragionamenti sulla natura del MoVimento 5 Stelle e sulla sua rapida ascesa.
Il MoVimento 5 Stelle nasce come concretizzazione e formalizzazione di un fenomeno più vecchio, che consisteva in una sorta di certificazione che Grillo forniva a enti amministrativi o semplici politici in funzione delle loro idee e delle loro azioni.
Questa base ideologica certificatrice, ora è chiaro, non è mai scomparsa dal DNA del M5S, ma emerge proprio in occasione degli appuntamenti più importanti. La società civile, l’apporto dei cittadini, non sono stati esclusi aprioristicamente, ma in quanto non certificati, non “a cinque stelle”: un voto esterno al MoVimento non è un voto di cui il MoVimento si fida, e quindi non ne accetta il valore nei processi decisionali interni.
A differenza del centrosinistra, che accettano l’interazione con entità esterne, il MoVimento 5 Stelle non ammette una permeabilità con l’esterno, ma richiede una certificazione – l’ingresso nel MoVimento stesso – per poter partecipare alla vita del partito.
Esattamente il contrario della scalabilità: non sono i cittadini che indirizzano il partito, ma è il partito che ammette i cittadini a poter discutere della vita del partito. E chi ha il potere di ammettere o rifiutare i cittadini dentro il partito, comanda di conseguenza il partito.
Perché questo? Mantenere la propria purezza verso gli inevitabii influssi provenienti dall’eterno è una spiegazione plausibile, ma che certamente lascia insoddisfatti e tratteggia in maniera anche critica il MoVimento ed il suo operato.