Romania, alle parlamentari vince l’ego della politica

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[ad]“Dobbiamo votare, perché il voto è tutto ciò che ci resta. Votate come se fosse l’ultima volta. Chiamate i vostri amici e parenti e convinceteli che questa è l’ultima occasione di schierarsi contro l’occupazione, perché la Romania è un Paese occupato. Andate a votare come se voleste fermare la fine del mondo”. Così, il Jurnalul Naţional, testata vicina al Primo Ministro Victor Ponta, ha introdotto le elezioni parlamentari tenutesi domenica scorsa in Romania.

 

“PDL (Partito democratico liberale) e USL (Unione Social Liberale), la stessa miseria”. Così invece recitava uno dei popolari slogan delle manifestazioni di piazza svoltesi lo scorso febbraio a Bucarest e promuoventi le dimissioni dell’allora governo di centro-destra guidato dal Premier Emil Boc. Questi i due estremi, temporali e politici, dell’annus horribilis rumeno, al quale nemmeno la rotonda riconferma elettorale (58%) della coalizione governativa (USL), ampiamente affossante (17%) le istanze della coalizione filo-presidenziale (ARD – Alleanza Romania Giusta), potrebbe garantire un termine definitivo. Nonostante l’accentuarsi della crisi economica, dei preoccupati moniti politico-creditizi delle istituzioni internazionali e delle numerose e rassegnate code di cittadini che fanno a gara a chi prima oltrepassa la frontiera, il protagonismo della politica, sembra infatti non volersi esaurire. La contesa elettorale in Romania, incapace di offrire risposte alle istanze della società civile, non si è rivelata altro che il culmine del regolamento di conti politico tra il riconfermato Premier Ponta e il longevo Presidente della Repubblica Traian Băsescu. La personalizzazione della tornata riassume così le infantilistiche diatribe denotanti gli ultimi travagliati dieci mesi della politica della Romania.

La soap opera politica iniziò infatti nel febbraio 2012 quando l’allora Primo Ministro, Emil Boc, diede le sue dimissioni a seguito delle proteste di piazza osteggianti le misure di austerità intraprese dal suo governo. Băsescu, in virtù dei poteri conferitigli dalla Costituzione, nominò quindi nuovo Primo Ministro il fidato Mihai Răzvan Ungureanu, affidandogli il compito di formare un nuovo esecutivo. Dopo non appena tre mesi, però, anch’egli sotto la pressione delle crescenti manifestazioni contro le misure di austerità, si dimise, concludendo l’esperienza di governo più breve dalla caduta di Ceauşescu. Così, il Presidente della Repubblica si trovò costretto a riaffidare per la seconda volta nell’arco di tre mesi l’incarico di Primo Ministro. Esauriti i propri fedelissimi, e incassati i no di candidati terzi, nel maggio 2012, Băsescu nominò Premier, in virtù di una maggioranza parlamentare capace di sostenerne il mandato, l’odiato oppositore Victor Ponta. In quel momento iniziò la controffensiva dell’opposizione.

Dal giorno del suo insediamento, Ponta, ha infatti costruito la sua personale ripicca politica, intraprendendo le seguenti misure: sostituzione dei due Presidenti delle Camere e del Difensore Civico, mancato rispetto di una sentenza della Corte Costituzionale sancente la rappresentanza estera del Paese in capo al Presidente della Repubblica (senza mandato si è recato in rappresentanza a Bruxelles), impedimento della pubblicazione di sentenze a lui scomode sulla Gazzetta Ufficiale, minacce ai giudici della Corte Costituzionale, cambiamento in corsa delle regole referendarie al fine di facilitare l’allontanamento del Presidente Băsescu attraverso la consultazione popolare. In particolare, ridefinì i criteri di validità referendari, disponendo il calcolo del quorum non sugli aventi diritto al voto ma sui votanti. Sforzo tuttavia inutile visto il mancato raggiungimento della soglia del 50% più uno dei votanti nella tornata referendaria del 29 luglio.

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[ad]Considerato quindi il poco invitante prequel politico, l’elettorato rumeno, non ha tardato a sentenziare la barbara rappresentazione inscenata, livellando l’asticella dell’astensionismo sino ad un corposo 59%. Il monito di condanna e di sfiducia alla classe politica della Romania è stato inoltre rafforzato dalla discesa in campo di Dan Diaconescu (Partito del Popolo), abile nel conquistare la frustrazione scaturita nella parte socialmente e culturalmente più debole dell’elettorato. Egli, tycoon del settore dei media e nuovo interprete della demagogia europea, seducendo la disperazione con proposte utopiche, è riuscito ad arginare lo sbarramento parlamentare, assicurandosi il convincente sostegno del 14% dei votanti. Quarto e ultimo partito a varcare la soglia del 5%, dei trentasei presentatisi, è stata l’Unione Democratica dei Magiari di Romania (UDMR), forza politica rappresentante la minoranza ungherese, capace di replicare il risultato ottenuto alle parlamentari del 2008 (6%).

Tracciate premesse ed esiti, restano da capire gli scenari futuri. La pur solida maggioranza esito delle elezioni, ulteriormente rafforzata dall’appoggio parlamentare dell’UDMR, potrebbe infatti non essere garanzia sufficiente alla prossima governabilità in un contesto prevendente un potere di nomina presidenziale del Primo Ministro. I colpi di scena, costanti dell’infantilistica boutade tra Ponta e Băsescu, non consentono quindi una certa previsione riguardo gli sviluppi della futura co-abitazione. Assodato risulta invece l’ulteriore rinvio di un cambio di responsabilità della classe politica della Romania, lasciante inappagata la società civile e conservante il suo triste privilegio alla perenne replica di un teatrino incapace oramai di raccogliere applausi.