Mario Monti ha dichiarato: “L’Italia non è un Paese debitore, non deve neanche un euro ai fondi Salva-Stati, ed è il terzo contributore non solo dei bilanci Ue, ma anche dei salvataggi verso Atene e il Portogallo”. Pagella Politica ha effettuato il fact checking della dichiarazione di Monti e si è espressa con un “Vero”.
[ad]Tra Berlusconi dimissionario, governi tecnici di emergenza, misure di rigore e spread ballerino l’Italia è entrata appieno, nell’immaginario collettivo degli europei, nel gruppo dei PIIGS. Siamo uno dei cinque sfortunati Paesi ad ispirare terrore e sfiducia nei mercati, i quali seguono con sguardo vigile ogni sussulto della nostra politica, ogni vanesia dichiarazione, qualsiasi manifestazione, qualsiasi sciopero.
A chi parla tedesco basta fare un giro sui quotidiani più popolari, da “Der Spiegel” a “Die Welt” passando per “Die Zeit”, per vedere cosa pensa almeno la metà dei lettori teutonici. Siamo un Paese fallito, da operetta, che come greci, portoghesi e spagnoli, gode dell’infame Rettungschirm, il rescate spagnolo, il bail-out di stampa anglosassone.
Vero? Leggendo il nostro fact checking, la risposta è: “chiaramente no”. Al momento né la Spagna né l’Italia hanno ancora fatto domanda di aiuto al nuovo fondo Salva-Stati (Meccanismo Europeo di Stabilità, o MES), il cui trattato definitivo è stato approvato il 2 febbraio 2012 come ampliamento e rafforzamento dei meccanismi di aiuto pre-esistenti.
Non solo quindi l’Italia non ha ancora fatto richiesta formale di aiuto (non dovendo quindi un euro ai fondi Salva-Stati, come dice Monti), ma svolge pure, in qualità di terza economia dell’Eurozona, un ruolo fondamentale all’interno della politica di soccorso imbastita negli ultimi anni dai Paesi europei.
Prima di entrare nei dettagli col nostro fact checking, però, un breve ripasso nell’abisso della crisi del debito europeo. Al sorgere dei primi problemi di finanziamento della Grecia ed in seguito all’aggravarsi della situazione del debito ellenico, il resto dei Paesi della zona euro, in concerto con il Fondo Monetario Internazionale, misero a disposizione 110 miliardi di euro, di cui 80 miliardi provenienti dai Paesi della zona euro e 30 miliardi dal Fmi. Ognuno dei Paesi che prendeva parte all’operazione di salvataggio di Atene, partecipava in proporzione alla quota di capitale che deteneva presso la Banca Centrale Europea. Nel maggio del 2010, momento in cui fu deciso il primo aiuto alla Grecia, la proporzione era la seguente:
L’Italia era quindi già il terzo contributore, prestando alla Grecia attorno ai 14,7 miliardi di euro su un totale di 80. Stessa cosa valgasi per il secondo pacchetto di aiuti per Atene, elargito dal fondo ESFS (European Financial Stability Mechanism), creato inizialmente a scopo temporaneo nel maggio del 2010 per tranquillizzare i mercati e garantire una rete di sicurezza agli altri Paesi che erano all’epoca fonte di preoccupazione, come il Portogallo e l’Irlanda. Il secondo bail-out del governo greco, ammontante ad un totale di 130 miliardi di euro ed approvato dopo 12 tumultuose ore di discussione da tutti i 17 membri dell’Eurogruppo, è stato quindi ripartito secondo le quote assegnate a ciascuno dei Paesi membri del nuovo fondo di salvataggio, esclusi ovviamente i Paesi che avevano beneficiato degli aiuti finanziari come Portogallo, Irlanda e Grecia.
Lo stesso EFSF, reso permanente con il nascere del Meccanismo Europeo di Stabilità, è stato infine responsabile della concessione di un prestito di 100 miliardi di euro alle banche spagnole, la cui prima tranche, ammontante a 37 miliardi, è stata approvata il 28 novembre dalla Commissione Europea. Lo stesso trattato istitutivo stabilisce le quote di partecipazione dei Paesi membri al fondo, il quale consiste di 650 miliardi di euro, più il residuo rimasto dal fondo precedente successivamente ai prestiti a Grecia, Portogallo ed Irlanda. Come possiamo notare, nello stesso statuto del fondo, coerentemente con quanto detto da Mario Monti, l’Italia si trova come sempre al terzo posto in quanto terza economia dell’Eurozona.
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[ad]Che dire invece del contributo dell’Italia al budget europeo? Come sappiamo, gli accordi sul budget decidono quanto ogni Paese dovrà contribuire e quanto riceverà sottoforma di aiuti per lo sviluppo delle Regioni più arretrate. L’Italia, per via della sua natura duale (un nord estremamente avanzato, ai livelli delle zone più ricche del resto del continente, assieme ad un mezzogiorno fortemente sottosviluppato) beneficia di ingenti aiuti europei ed è uno dei principali contributori dell’Unione, contemporaneamente. Basta vedere il grafico sotto, estrapolato da dati forniti dall’Ufficio del budget europeo, che dimostra i contributi netti di ciascun Paese europeo per il budget approvato nel 2010: l’Italia ancora una volta si trova al terzo posto, dietro Germania e Francia.
Insomma, il dimissionario Presidente del Consiglio si dimostra estremamente ferrato in materie europee. Un “Vero” pieno.
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