Mario Monti politico dell’anno 2012

[ad]Mario Monti è il politico dell’anno. A decretarlo un sondaggio Ipsos, divulgato martedì sera nel corso della puntata settimanale di Ballarò su Raitre. Il premier tecnico che ha salvato l’Italia dalla tempesta finanziaria, mettendo al riparo gran parte dell’area euro al suono di manovre rigorose con molti aumenti delle entrate e qualche spruzzata della Spending Review viene ritenuto il personaggio più incisivo nella politica del Belpaese nel 2012. Lo pensa il 25% degli italiani.

A breve distanza segue Matteo Renzi, che pur avendo perso nettamente le primarie del centrosinistra ha rinnovato l’interesse di una parte cospicua dell’elettorato nel dibattito sulla scelta del governo del paese per i prossimi 5 anni. Viene riconosciuto come rivelazione dell’anno dal 24% del campione.

Due le sorprese del rilevamento demoscopico: Pierluigi Bersani viene indicato solo dal 9%, malgrado la sua seconda vittoria consecutiva nelle primarie del centrosinistra nell’arco di appena tre anni e la presenza in classifica la terzo posto fra le personalità politiche del governatore della Bce, Mario Draghi la cui dichiarazione in estate di difesa ad oltranza dell’area euro da qualsivoglia attacco speculativo ha spezzato la spirale potenzialmente distruttiva dello spread sui titoli di Stato.

 

Draghi e Monti, comunque, sono collegati. E non solo dal nome di battesimo. La maggior parte degli osservatori, in effetti, reputa che dall’Eurotower l’impegno per difendere la finanza europea potesse arrivare un minuto dopo il recupero di una dose di credibilità da parte del sistema-paese Italia. Questo è avvenuto consegnando le chiavi di palazzo Chigi all’esponente più austero e rispettato della borghesia intellettuale milanese, che ha riconsacrato gli ambienti di governo all’onore internazionale rimettendo in carreggiata l’immagine della finanza pubblica sui mercati attraverso interventi di marcata austerity fiscale. La gravità della situazione l’ha paradossalmente agevolato nel suo anno di governo, perché ha semplificato talmente la sua mission da decidere per il successo o il fallimento dell’esecutivo, esclusivamente in base ai punti del differenziale fra titoli di Stato.

Lo spread si è ridotto e questo basta ad aprire uno scenario precluso in simili condizioni ai suoi predecessori: Monti è proiettato verso la candidatura alle elezioni politiche con liste proprie e, probabilmente, stampando sulla scheda elettorale il suo nome per la premiership. Le condizioni economiche, in effetti, sarebbero rimaste molto ostili: la recessione e la disoccupazione si sono aggravate e il legame fra questa dinamica depressiva e il ricorso massiccio ad aumenti delle tasse è difficilmente confutabile. Nel 2006 Silvio Berlusconi perse le elezioni – anche se al termine di una campagna che lo vide recuperare milioni di voti – per aver mantenuto alta la pressione fiscale e non aver tagliato le aliquote Irpef. Nel 2008 il secondo governo Prodi venne sanzionato dall’impopolarità in seguito al varo di manovre finanziarie simili al rigore dei conti auspicato e imposto da Monti nell’ultimo anno, che riuscì a mantenere lo spread sui bund tedeschi abbondantemente sotto i 100 punti. Ma allora la tempesta finanziaria era inimmaginabile.

Sempre Ipsos decreta per il premier in carica un vantaggio sugli altri competitor nella classifica di gradimento. Viene indicato come guida del prossimo governo dal 31%, scavalcando di 3 punti percentuali persino il leader di Italia Bene Comune, Pierluigi Bersani. A dimostrazione di un consenso personale maturato in maniera bipartisan, con una leggera prevalenza di elettori di centrosinistra. In questo sta la maggiore difficoltà per Mario Monti. Il suo ruolo trasversale gli fa avere apprezzamenti oltre la classica linea di frattura destra/sinistra. Il fatto però che sia più gradito a sinistra, dove un leader già c’è e dove il Partito Democratico dalle primarie ha iniziato un trend inarrestabile di crescita rende l’operazione discesa in campo più rischiosa. Il gradimento attorno ad una lista Monti staziona attualmente sul 3-4%, da sommare alle intenzioni di voto di Udc, Italia Futura e Fli. Numeri incrementabili attraverso una serrata campagna elettorale, ma è spericolato pensare che una sua coalizione possa porsi un obiettivo di lunga gittata a parte quello di fare da ago della bilancia al Senato, dove il porcellum potrebbe creare l’assurdo di un vantaggio nazionale di 20 punti percentuali per la coalizione Pd-Sel e non una maggioranza autosufficiente di seggi.