E se la “salita” di Monti fosse un toccasana per la politica italiana?
Niente pausa natalizia, per la politica italiana. A causa della fine prematura della legislatura, partiti e movimenti che si candideranno alle elezioni politiche di fine febbraio scaldano i motori di quella che si preannuncia una campagna elettorale diversa da quelle che – per poco meno di venti anni – hanno visto contrapporsi due schieramenti principali ed alcuni sparring partners.
[ad]Quest’anno, a contendere la vittoria alla favorita coalizione formata da Pd, Sel e Psi, ci saranno un centrodestra berlusconiano, di cui non è ancora chiara la composizione (se avrà o meno l’appoggio della Lega, ma diversi elementi fanno propendere per una risposta affermativa) ma di cui è ormai chiaro il refrain, ribadito da Berlusconi una dozzina di volte nell’ultima dozzina di giorni; il MoVimento 5 Stelle, che da alcune settimane pare in declino, ma che per molto tempo è stata la seconda forza politica del Paese; il Movimento arancione di Ingroia, De Magistris (Di Pietro, Ferrero, ecc. ecc.), che si candida al ruolo di “quarto polo”, ma che appare destinato probabilmente ad un risultato elettorale scadente, però capace in teoria di erodere il consenso nei confronti di Vendola; il centro montiano, che di giorno in giorno si arricchisce di fuoriusciti da Pd e Pdl (Ichino, Frattini, Pisanu fra i più noti), che si reggerà su due “pilastri”: la struttura organizzativa dei partiti centristi e del movimento montezemoliano, la credibilità politica dell’Agenda Monti, agenda cui i centristi hanno delegato l’elaborazione del programma di Governo. A questi si aggiunge Fermare il Declino, anch’essa a rischio di esprimere una mera testimonianza.
Nei mesi scorsi, la coalizione di centrosinistra era riuscita ad imporre la propria sfida al vertice (le primarie) in un ruolo superiore alle attese: complici sondaggi elettorali favorevoli, ai protagonisti Bersani, Renzi e Vendola si richiedevano posizioni proprie di tutto l’arco politico-ideologico, su di loro si riversavano le speranze di elettori di tutti gli schieramenti. Il centrosinistra ha avuto modo di imporre la propria agenda nel dibattito della politica italiana fino al punto di creare le condizioni per le quali anche gli altri competitor avessero un ruolo stabilito: al centro un ruolo ancillare, garantito da un ruolo di rilievo per il premier Mario Monti, ai movimenti si lasciava tutto l’ampio bacino dell’antipolitica, pure eroso dal meccanismo stesso delle primarie.
La ridiscesa in campo di Berlusconi ha ricambiato tutto – o forse ha solo accelerato riequilibri che erano nell’aria. Risalendo nei sondaggi e provocando la “salita in politica” di Mario Monti. Tornando in campo, Berlusconi ha ridotto il potenziale del Movimento 5 stelle, non tanto andando a pescare nel bacino elettorale di Beppe Grillo, quanto “risvegliando” suoi elettori delusi dall’appoggio alla rigorosità montiana; la decisione di Monti di candidarsi a Premier per una coalizione di moderati ancorati ai temi ed alle soluzioni della sua Agenda, ha invece determinato – come si diceva all’inizio – il realizzarsi di un gioco a tre tra gli ex alleati della “strana maggioranza”, per la prima volta dal ’94.
In quell’occasione la coalizione centrista fu spazzata via, realizzando per la prima volta il bipolarismo nella politica italiana, con conseguente “semplificazione” della dialettica politica in berlusconiani ed antiberlusconiani. In questa occasione, invece, il polo centrista – come argomenta Patané – da un lato costringe il centrosinistra a confrontarsi sui temi (non più dettati dai contendenti delle Primarie, ma dall’avversario Monti), dall’altro spinge Berlusconi all’angolo del populismo, a contendere a Grillo il voto dei delusi di varia natura. Questo nuovo scenario – se avesse successo nelle urne – potrebbe mutare nuovamente gli equilibri della politica italiana, favorendo anche una futura riforma elettorale meno premiale – o del tutto agnostica – nei confronti del bipolarismo. E potrebbe essere un toccasana anche per la politica italiana, perché contribuirebbe ad evitare uno scenario elettorale di tipo greco, dove forze “europeiste” un tempo dominanti (Pasok e Nea Demokratia) sono oggi ridotte a difendere il fortino della maggioranza relativa.
In questo senso, potrebbe anche portare dei vantaggi allo stesso Pd, da tempo scettico sull’opportunità dell’impegno in prima persona di Mario Monti: rafforzato dalla sua Agenda, il centro potrebbe acquisire una certa robustezza ed essere utile nella futura legislatura, quando il suo apporto – sondaggi alla mano – sarà determinante per il centrosinistra stesso.