Web marketing politico. L’uso di Facebook e Twitter per le campagne elettorali
Il seguente testo è tratto da “Fare politica digitale“, un manuale “per” la politica affinché possa usare al meglio la Rete e i social network (Facebook e Twitter in primis) per le campagne elettorali e per la vita delle organizzazioni e dei movimenti.
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Ascoltare e ingaggiare. L’uso dei social media come nuova leva a disposizione della politica
3.1. Strumenti e tecniche di social media marketing. Gli influencers
Una definizione molto efficace dei social media l’ha data lo studioso dei media spagnolo Manuel Castells secondo il quale Internet, ed in particolare i social media ancor più pervasivamente se usati da applicazioni mobile che ne sfondano il perimetro d’uso, produce un fenomeno di “autocomunicazione di massa” in cui tutti si portano in tasca una piccola agenzia di comunicazione e diventano essi stessi l’autore, l’editore e la notizia. Facebook, Twitter, Youtube, Linkedin e poi ancora Tumblr, Pinterest ed Instagram accompagnano la vita di milioni di italiani, sempre più sostituendo il modo in cui questi accedono alle informazioni, le commentano, si formano un’opinione: è pertanto normale che la politica impari ad utilizzarle al meglio.
Castells ricorda che il primo episodio in cui l’autocomunicazione di massa ha dimostrato la sua forza nella politica sono state le elezioni in Spagna del 2004 quando, “all’indomani dei terribili attentati di Madrid, un passaparola via cellulare tra milioni di persone ha cambiato segno al voto. Ha perso Aznar e vinto Zapatero. La gente non sopportò le bugie del governo e creò una rete di sms che in 160 caratteri fece vincere a sorpresa il candidato socialista”.
Come accennato nel primo paragrafo, Obama ha nel 2012 non tanto il merito di aver continuato ad essere un Presidente presente e protagonista sui social media, ma di aver compreso che il digitale non richiede necessariamente – e certamente neppure in prima battuta – un’attività editoriale o una presenza online attiva. Certo, il suo staff gestisce profili sui social media seguiti e intensi, ma quando pensa al Web pensa soprattutto ad una tecnologia abilitante che mira a raggiungere gli attivisti e a dare loro gli strumenti per creare una “palla di neve” a partire dai loro contatti. I social media non sono un canale da uno a molti, ma una piattaforma in cui diventare messaggio e contenitore di idee e sogni.
Questo non significa che non si presti la massima cura alla definizione di “social objects” ovvero materiali politici e di comunicazione pregnanti che si prestino ad essere diffusi a cascata sulla Rete: è il caso del grafico sull’andamento della disoccupazione postato su Tumblr a inizio maggio o il filmato in cui il Presidente spiega i passi in avanti sulle politiche ambientali messo su Facebook il 22 aprile 2012 o ancora la foto online su Tumblr il giorno della festa della mamma in cui il piccolo Barack è fra le braccia della madre. È la teoria del vortice.
La teoria del vortice
In principio il mondo della comunicazione era un mondo semplice: le persone si informavano presso una limitata offerta informativa data da un canale televisivo, pochi giornali locali, poche emittenti radio. Per comunicare era sufficiente essere laddove vi era la chiusa di un lungo fiume.
Col tempo l’evoluzione della tecnologia ha però aumentato i mezzi di comunicazione – dopo la radio e la TV è arrivato Internet e da ultimo il mobile. In parallelo l’offerta si è moltiplicata ed è diventata piu competitiva e targetizzata: tv satellitari, periodici, radio private, siti web, Il fiume è stato sostituito da una complessa trama di canali dove comunicare con l’elettore richiede una pianificazione sempre più accorta perché il target è disperso e più propenso a cercarsi le informazioni da sé: il rischio di accodarsi al rumore è forte.
Con i social media ed una fruizione dell’informazione che è diventata sempre più personale e sfuggente, il mondo della comunicazione è oggi simile al mare, un ambiente così liquido che una chiusa non funziona più.
Quello che occorre è un vortice ovvero una dinamica creativa che ha in sé elementi editoriali e di marketing tali da “risucchiare” l’utente grazie al suo interessarsi alla proposta, una dinamica che spesso prescinde dai canali di comunicazione perché agisce sul passaparola.
Internet, e in particolare i social media, hanno amplificato un concetto vecchio come il mondo, il passaparola rispetto al quale vanno ripensati anche i media tradizionali, proprietari (owned) o acquistati (bought) perché, diffondendo il loro messaggio sul digitale, ne creino effetti di ricaduta in termini di media guadagnati.
Vediamo pertanto di comprendere come funzionano da vicino i social media e come possano essere messe al servizio di una strategia politica digitale.
A questo proposito, Facebook ha inserito di default in tutte le pagine l’applicazione “Sondaggi” che consente di rivolgere ai propri liker domande a risposta aperta o chiusa. Un buon modo di utilizzarla è applicare il cosiddetto “Metodo Delfi” ovvero chiedere ai partecipanti di approfondire le proprie risposte attraverso sondaggi successivi in cui la domanda viene riformulata via via che le differenti opzioni risultano più votate.
Il “Diario” o “Timeline” costuisce lo spazio dove pubblicare le informazioni salienti sulla campagna, i documenti della proposta politica, l’album delle foto delle iniziative pubbliche. Due elementi meritano in particolare di essere valorizzati:
• l’immagine di copertina che, come negli esempi riportati, è l’occasione per un messaggi politico puntuale che può essere cambiato anche di frequente di pari passo con il dibattito pubblico;
• le “milestones” che consentono, come nel caso della pagina sulla strage di Piazza della Loggia di raccontare una storia inserendo eventi che si prodotto anche prima della nascita di Facebook. È il principio dello storytelling ovvero della necessità, insita nel digitale e più ancora nella politica, di saper rappresentare la propria posizione politica sotto forma di narrazione, che dia un senso e un traguardo e che sappia includere idee, aspirazioni, interessi di altro.
3.1.1. Facebook, un’assemblea in cui incontrare gli elettori
Se volessimo rappresentare i social media come delle occasioni di incontro con gli elettori, non c’è dubbio che Facebook sia un’affollata assemblea in cui il candidato e il suo staff devono mettersi al servizio dei loro elettori per ascoltarne le istanze ed anzi per essere, essi stessi, una piattaforma di incontro. Il principio cardine di Facebook è infatti l’interazione e le modalità che, come vedremo, regolano l’ordinamento dei post in una bacheca premiano il coinvolgimento, la condivisione, la collaborazione. Se per molti aspetti la politica tradizionale è dominata dai sondaggi e dai focus group, una politica che voglia contaminarsi di digitale deve guardare ai social media come ambito nel quale si esprime parte del proprio elettorato e da cui trarre segnali, proposte, spunti, disponibilità da mettere a fattor comune con il resto delle forme tradizionali con le quali si crea il programma elettorale.
È superfluo ricordare che il profilo personale ha un limite di amici di 5 mila: anche solo per questa ragione, candidati e partiti devono creare Pagine che potranno sfruttare inoltre “Facebook Insights“, lo strumento di Web Analytics messo a disposizione dal social network.
Ciascun elemento su Facebook può essere:
• apprezzato (“like”),
• commentato,
• condiviso (“share”).
Quando si scrive occorre darsi non tutti questi obiettivi insieme, ma perseguire quello che si ritiene in quel momento più appropriato: sondare le opinioni dei propri liker, generare un assenso, far si’ che questi condividano quanto scritto sulle loro bacheche così da raggiungere anche i loro amici.
Su Facebook, un bravo marketer scrive sempre per ottenere un’azione da parte dell’utente, non pubblica mai nulla di autoreferenziale proprio perché non solo inutile, ma anche invasivo. Un comunicato stampa non adattato su Facebook non ha senso, così un atteggiamento che non punti mai alla collaborazione del proprio seguito. Un vecchio pubblicitario disse “Nessuno legge la pubblicità, le personeleggono quanto interessa loro. A volte è la pubblicità”. Soprattutto se politica in particolare su Facebook.
Generare un’azione da parte dell’utente (like, comment o share) è importante anche perché i post nelle bacheche dei liker non sono ordinati solo con un criterio cronologico (time decay) ma come frutto di un algoritmo denominato Edgerank. Tale algoritmo tiene in considerazione quanto l’utente in questione abbia precedentemente interagito con il profilo o la pagina del candidato (affinity) e quanto il post scritto abbia suscitato azioni da parte degli altri amici o liker del candidato. Facebook dichiara che i post sono visti mediamente solo dal 16% degli utenti: è chiaro come occorre generare azioni, suscitare engagement se non si vuol sparire dal radar dei nostro liker perché sommersi dagli altri aggiornamenti a cui questi sono sottoposti.
Gli americani, come anticipato, guardano a questa tendenza e parlano di earned media, spazi di comunicazione che i marketer possano utilizzare con i loro utenti non all’interno di contesti propri (un sito proprietario o un house organ, una brochure aziendale o una sezione di partito) o acquistati (pubblicità, direct marketing, eventi, …) ma frutto di un’attività volontaria di condivisione e passaparola da parte del proprio seguito: in questo, piattaforme come Facebook sono davvero la “piazza” come gli italiani la vivono da secoli.
Quanto detto sopra crea la necessità di pensare ai contenuti per la propria Pagina in modo originale rispetto ad altre attività di comunicazione e di organizzare il tempo proprio e del proprio staff perché i commenti non restino inevasi, ma anzi la Pagina sia sempre presente e in presa diretta con il dibattito politico e il tessuto sociale nel quale si è impegnati.
Recentemente Facebook ha messo a disposizione alcune funzionalità interessanti:
• possiamo sapere quanto ciascun singolo post è stato visto e quando tale visibilità è stata prodotta dai liker della pagine e dalla condivisione di tale post da parte di questi ultimi;
• possiamo programmare la pubblicazione di un post, anche considerando i momenti in cui verifichiamo che c’è maggior attenzione nei nostri confronti da parte dei nostri liker;
• possiamo evidenziare un post “pinnandolo” ovvero facendo sì che appaia in alto per una settimana nella nostra pagina;
• possiamo creare diversi livelli di amministrazione.
È invece cambiata la politica relativa al tagging delle persone nelle foto: richiedendo oggi la loro approvazione prima che l’identificazione risulti attiva, è una funzionalità che richiede una certa cautela.
Inoltre, gli utenti di Facebook possono essere coinvolti anche all’interno del sito sfruttando alcuni pulsanti disponibili gratuitamente sul sito http://developers.Facebook.com:
• il pulsante Facebook Login per far accedere l’utente ad un’area riservata del sito sfruttando le credenziali che questi ha dato a Facebook;
• i tradizionali pulsanti like e “invia”;
• il modulo Comments con cui far commentare l’utente senza che questi debba loggarsi sul sito;
• i box con i volti dei liker alla nostra Pagina o con gli ultimi post;
• il pulsante Facebook Connect con cui far interagire il sito con l’Opengraph ovvero con l’insieme delle informazioni sull’utente che il social network mette a disposizione di terze parti.
Rimangono validi, ma solamente come strumenti di lavoro per cerchie ristrette di collaboratori, i Gruppi che hanno una visibilità superiore degli aggiornamenti pubblicati, ma, non godendo dei dati di Facebook Insights e non essendo indicizzati dai motori di ricerca, non si prestano all’uso marketing delle Pagine.
Suggerimento: analizzare con attenzione i Facebook lnsights della I propria pagina e valutare la tipologia di post che ha prodotto maggior attenzione e viralità da parte dei liker. Farne tesoro per i successivi articoli.
3.1.2. Twitter, il comizio dell’era digitale
Se Facebook è il luogo del confronto, Twitter è il luogo della dichiarazione, della posizione politica, del dato citato a tesi, della notizia: non stupisce che piaccia così tanto ai politici e ai giornalisti. È pur vero però che la brevità del formato (140 caratteri) rende necessario un lavoro di lima a cui prestare attenzione e un piano editoriale accattivante e interessante.
Twitter ha poi alcune funzionalità che ne sanciscono la forza ed in parte corrono parallele a quanto abbiamo visto per Facebook:
• il “retweet” con cui rilanciare al proprio seguito tweet di altri utenti: è lo “share” di Facebook;
• il reply (“@”) con cui fare una domanda pubblica a un utente, funzionalità che, come per tutti i social media, richiede attenzione e organizzazione per un candidato, soprattutto in tempi di campagne elettorali. Vedremo che su un trabocchetto, lo staff di Letizia Moratti diede su Twitter una risposta disinformata su cui si scatenò l’ironia della Rete e non solo;
• il mention (@) che di fatto è una citazione di un altro utente senza che vi sia una vera propria domanda. Esemplare è la pratica del FollowFriday (“ff’ con cui si invitano i propri follower a seguire anche la persona citata);
• l’hashtag (#) con cui si intende sottolineare uno o più termini all’interno del proprio tweet o inserirsi in una conversazione collettiva che ha nel termine preceduto dal cancelletto il suo centro e il suo ancoraggio. Con gli hashtag si organizzano eventi e se ne fa il live blogging, si commentano fatti, si partecipa a tormentosi che, oltre una certa soglia, diventano “trending topics”.
L’hashtag è per molti aspetti la funzionalità che permette di far emergere il vero valore di Twitter rispetto a Facebook: mentre in quest’ultimo l’interazione è ristretta ad amici e liker, i tweet sono pubblici e quindi leggibili e trovabili da tutti. Si tratta di un’occasione in più per acquisire notorietà, estendere la visibilità e l’efficacia della comunicazione ed ecco perché va usato con sagacia all’interno di una strategia che è per molti aspetti simile all’ufficio stampa tradizionale, ma con tutta la disintermediazione tipica dei media sociali. Monitorando i temi più vicini al singolo candidato — soprattutto se emergono come trending topic — e opportuni nella strategia di co municazione, si potrà utilizzarli per dire ciò che si pensa o per segnalare un evento o un’iniziativa a questo relativa’.
A questo proposito, rimangono famosi alcuni incontri a porte chiuse, una Conferenza Stato — Regioni e un incontro con le parti sociali in previsione della manovra Salva Italia ed infine un’assise a porte chiuse di Confindustria a Bergamo, nei quali rispettivamente i tweet del sindaco di Bari Michele Emiliano, di Susanna Camusso e di un partecipante dall’account @limprenditore colpirono per la presa diretta e per la soggettività con le quali riuscirono a diventare protagonisti dei commenti successivi: era il mondo della comunicazione che stava cambiando e che non poteva più limitarsi ai comunicati ufficiali a posteriori.
Nel luglio 2012 un intenso dibattito ha visto confrontarsi l’esperto di media digitali Marco Camisani Calzolari e sostenitori di Beppe Grillo in merito ad una ricerca che vorrebbe i follower del comico genovese perlopiù “fake”, ovvero frutto di robot ed altre pratiche automatiche, account Twitter che in realtà non scrivono tweet e non danno segni di altra attività.
In seguito alle polemiche emerse, Digital Evaluation ha effettuato una nuova ricerca. L’analisi sui follower fatta da Camisani Calzolari è uno studio quantitativo e qualitativo in relazione ai comportamenti umani (utenti presumibilmente reali) o da BOT (utenti presumibilmente falsi) dei profili di alcuni partiti e/o leader politici italiani.
Hootsuite, Tweetdeck ed altre applicazioni possono rivelarsi molto utili in sede di campagna elettorale perché consentono di gestire, da un unico pannello di controllo, diversi account e diversi hashtag.
Senza entrare nel merito dei criteri di analisi e della polemica, è opportuno sottolineare che, in chiave di una strategia comunicativa efficace, avere molti follower è un obiettivo miope e di limitato valore perché il digitale — è questo è il fil rouge di questo libro — è un mezzo e non un fine sia per un marketer politico che non politico e la sua utilità va commisurata ai risultati che produce soprattutto fuori dalla Rete.