UCRAINA – “Non si può pensare un’architettura senza pensare alla gente”. Richard Rogers, celebre architetto italiano naturalizzato inglese, autore del Centre Pompidou a Parigi e del Palazzo della Corte Europea a Strasburgo, raccontava così il mistero di un’arte regalantegli fama mondiale.
[ad]L’architettura, raffinata narratrice, ha infatti lungamente decantato le vicende cultural-politiche dei popoli, riservandosi il privilegio di evidenziare il divenire storico dei loro usi e costumi. Coerentemente, lungo i tracciati della storia moderna, la maggior parte delle capitali mondiali, conformandosi alle riformate pulsioni estetiche, scandiva i propri cambi di egemonia politica con rivoluzioni stilistiche.
Identico processo raggiungeva successivamente le periferie, trasformandone l’indole e i tratti caratteristici. Tra queste, le terre di frontiera, soggiogate dal susseguirsi delle occupazioni e levigate dallo scorrere dei secoli, rappresentavano il risultato ultimo di un a-decisionale percorso estetico generante impensabili commistioni socio-identitarie. L’Ucraina, o meglio le sue regioni occidentali, costituisce uno dei più rigogliosi esempi in tal senso.
Un inaspettato disorientamento investe infatti oggi chi, desideroso di imbattersi nella presunta esoticità dell’Est, valica le sue porte a queste longitudini. Le imponenti glorificazioni statuarie, la maestosa archeologia industriale e la raccapricciante edilizia popolare, stereotipi utili a semplificare lo sconfinato e scarsamente familiare scenario ex-sovietico, lasciando spazio ai ricami Art Nouveau dei palazzi, all’assetto urbanistico dei centri cittadini e alla radicata cultura dei Cafè, testimonianze del passato mitteleuropeo e della dominazione polacca, generano l’erroneo dubbio di dover ricorrere a dovuti ripensamenti riguardo fuorvianti collocazioni geo-politiche e conseguenti tradizioni societarie attribuite frettolosamente.
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[ad]Dimentichi di Rogers e dell’architettura narratrice dei popoli, e fomentati dagli interessi politico-economici di chi falsamente promuove Europa ciò che Europa non è più, gli ingannevoli suggerimenti confondono quindi i piani d’analisi, elevando il primato eclettico dell’apparenza architettonica sulla silenziosità dell’essenza sociale, nascondendo così tutta la nudità del re. Una nudità che, facendosi beffa degli architettonici motivi floreali e dei doccioni liberty, offusca il radicamento sociale dei suoi rinnovati abiti nella scostumatezza sovietica. La rara permanenza di monumentali esempi di realismo socialista si contrappone così alla capillare tangibilità sociale di un passato insopprimibile. Nessun legame, apparenze a parte, esiste infatti oggi tra gli abbagli art nouveau di stampo europeo e la società ucraina. Essa, consolandosi nei sabbatici strusci tra le memorie di un passato lontano, vive anzi inerzialmente in un interminabile hangover (post)sovietico.
La solidità architettonica e i radicamenti sociali, si sa, corrono da sempre su binari paralleli. La prima può infatti essere rimossa, distrutta, annichilita istantaneamente. I secondi, contrariamente, non conoscono cambiamenti a breve termine, facendo risultare l’illusione di poterne rivoluzionare le sorti al mutamento delle egemonie politiche mera fantasticheria. Così, la meraviglia di questo cimitero architettonico scompare alla visita dei suoi spettrali abitanti. L’eleganza dei suoi ornamenti cela la volgarità delle abitudini della classe dominante. I fasti di un rigoglioso passato vengono dissacrati dalle barbarie e dalle furberie dei loro costumi odierni. Deresponsabilizzazione, inettitudine, corruzione, spavalderia sfrattano sobrietà, rigore e raffinatezza. La fugace illusione di trovarsi a Budapest, a Vienna, a Praga, anestetizzando il senso estetico, genera infine immagini incredibilmente lontane dal vero.
Oggi, infatti, a dispetto dell’esaltazione architettonica di un passato mitteleuropeo oramai tramontato, una mistificazione permea la rappresentazione di una società ucraina indissolubilmente ancorata ai consolatori modelli sovietici. Il contrasto architettonico-sociale, base di tal mistificazione, fornisce inoltre argomenti alle interessate e bugiarde dichiarazioni di chi aspira a lucrose influenze geo-politiche. Permette infatti ripetutamente ad un’Unione Europea, perfettamente conscia delle sue menzogne e “sbadatamente” dimentica dei disastrosi effetti sociali dell’epoca sovietica, di avvicinare i suoi percorsi di interesse, approvando risoluzioni in cui si riconosce l’Ucraina “as a European country with a European identity, which shares a common history and common values with the countries of the European Union”. Permette ripetutamente ad una Russia, gelosamente abbarbicata ai suoi trascorsi, di vantare crediti di interesse, seducendo con immagini anacronistiche le smanie di potere dell’irresponsabile classe politica ucraina. Perpetra, infine, i disorientamenti di un popolo cresciuto in una terra di frontiera, in un crocevia architettonico-identitario, risultato delle mistificazioni prodotte dal susseguirsi di feroci avventori. Un popolo che oggi, mentre si specchia nelle sue passate meraviglie architettoniche art nouveau, perisce sotto i colpi delle sue eredità sociali sovietiche. Non si può pensare la gente di oggi, pensando all’architettura di ieri.