Il Redditometro: strumento intelligente o da Stato di Polizia?
Il debito pubblico ha sfondato quota 2020 miliardi di euro. L’evasione fiscale stimata ammonta a circa 120 miliardi, più o meno il 6% del nostro debito, per farla breve, se tutti pagassero le tasse non solo si cancellerebbe strutturalmente l’IMU, ma anche una quantità non ben definita ma copiosa di ulteriori balzelli che, a partire dalle Finanziarie estive del Governo Berlusconi IV fino all’ormai imminente Redditometro, hanno cominciato a sensibilizzare molto le tasche del contribuente.
[ad]Da un lato i percettori di reddito fisso si sentono un po’ come dei polli pronti da spennare: le loro entrate sono note e quando si deve far cassa e dimostrare che i conti rientrano, magari sotto lo stress della speculazione, il gettito è più facile da stimare, quindi ne perdono i pensionati con la mancata perequazione o tutti con l’introduzione di tasse e imposte. D’altro canto, il popolo dei liberi professionisti, artigiani e commercianti invoca un fisco più equo che permetta di non soffocare le attività già fortemente inficiate dalla crisi internazionale. Il risultato agli occhi di tutti è un aumento delle imposte e una riduzione dei servizi.
Un Paese moderno dovrebbe utilizzare le entrate fiscali per dare servizi, l’Italia purtroppo negli ultimi anni le ha sfruttate per tappare buchi o voragini creati da una spesa pubblica piuttosto allegra che arriva dai tempi delle pensioni d’oro, dei baby pensionati e di tutta quella serie di benefit per i quali un trentenne di oggi con contratto in scadenza prova disgusto.
Nell’estate 2010 il Governo Berlusconi IV ha inserito il Redditometro, normato il 24 dicembre scorso dall’Esecutivo Monti e che, sostanzialmente, dovrebbe andare ad analizzare gli scostamenti tra reddito dichiarato e tenore di vita.
Chiariamo subito i termini sostanziali di tutto questo: la ricchezza non è una colpa e questo concetto è stato più volte sottolineato da Befera stesso, dipinto da certa stampa come l’orco cattivo che mette le mani nelle tasche degli italiani. Probabilmente il sistema dovrà essere messo a punto attraverso diversi perfezionamenti, ma l’impressione è che si stia cercando l’evasore e non lo spendaccione. Da un lato c’è chi urla contro uno Stato di Polizia, o meglio, di GdF, quasi che non ci si possa godere il frutto dei propri risparmi (l‘Adusbef invoca l’incostituzionalità) da un altro ci sono i ben pensanti che esigono la forca per gli evasori perché hanno un reddito fisso, per poi magari chiedere lo sconto dell’IVA al professionista presso il quale si servono evitando l’emissione della ricevuta.
La preoccupazione che serpeggia è che un giorno qualcuno ci chiamerà a rendere conto della cena che abbiamo pagato ai nostri amici, piuttosto che di quel viaggio in Australia per il quale abbiamo accantonato un po’ di soldi da diversi anni; scatta quindi la corsa alla conservazione di scontrini inutili: non è mostrando un pezzo di carta anonimo che si prova la propria capacità di spesa. Per certi versi questa paura fa il gioco del Tesoro, che vede una maggior richiesta di scontrini per iniziativa del consumatore e meno tolleranza verso i pagamenti “in nero”, ma in fin dei conti si tratta di paure infondate, perché se quel viaggio a Sydney è stato fatto utilizzando i propri risparmi nessuno potrà accusarci di evadere le tasse, sarà facilmente desumibile dalla diminuzione del saldo disponibile del patrimonio accumulato negli anni passati, inoltre il sistema utilizza mezzi informatici molto evoluti, qui probabilmente la tracciabilità gioca più a favore del contribuente.
Sembra insomma che a preoccuparsi siano le persone che utilizzano somme derivanti da evasione per consumare beni e servizi altrimenti impossibili rispetto a quanto dichiarato.
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