Il debito pubblico ha sfondato quota 2020 miliardi di euro. L’evasione fiscale stimata ammonta a circa 120 miliardi, più o meno il 6% del nostro debito, per farla breve, se tutti pagassero le tasse non solo si cancellerebbe strutturalmente l’IMU, ma anche una quantità non ben definita ma copiosa di ulteriori balzelli che, a partire dalle Finanziarie estive del Governo Berlusconi IV fino all’ormai imminente Redditometro, hanno cominciato a sensibilizzare molto le tasche del contribuente.
[ad]Da un lato i percettori di reddito fisso si sentono un po’ come dei polli pronti da spennare: le loro entrate sono note e quando si deve far cassa e dimostrare che i conti rientrano, magari sotto lo stress della speculazione, il gettito è più facile da stimare, quindi ne perdono i pensionati con la mancata perequazione o tutti con l’introduzione di tasse e imposte. D’altro canto, il popolo dei liberi professionisti, artigiani e commercianti invoca un fisco più equo che permetta di non soffocare le attività già fortemente inficiate dalla crisi internazionale. Il risultato agli occhi di tutti è un aumento delle imposte e una riduzione dei servizi.
Nell’estate 2010 il Governo Berlusconi IV ha inserito il Redditometro, normato il 24 dicembre scorso dall’Esecutivo Monti e che, sostanzialmente, dovrebbe andare ad analizzare gli scostamenti tra reddito dichiarato e tenore di vita.
Chiariamo subito i termini sostanziali di tutto questo: la ricchezza non è una colpa e questo concetto è stato più volte sottolineato da Befera stesso, dipinto da certa stampa come l’orco cattivo che mette le mani nelle tasche degli italiani. Probabilmente il sistema dovrà essere messo a punto attraverso diversi perfezionamenti, ma l’impressione è che si stia cercando l’evasore e non lo spendaccione. Da un lato c’è chi urla contro uno Stato di Polizia, o meglio, di GdF, quasi che non ci si possa godere il frutto dei propri risparmi (l‘Adusbef invoca l’incostituzionalità) da un altro ci sono i ben pensanti che esigono la forca per gli evasori perché hanno un reddito fisso, per poi magari chiedere lo sconto dell’IVA al professionista presso il quale si servono evitando l’emissione della ricevuta.
La preoccupazione che serpeggia è che un giorno qualcuno ci chiamerà a rendere conto della cena che abbiamo pagato ai nostri amici, piuttosto che di quel viaggio in Australia per il quale abbiamo accantonato un po’ di soldi da diversi anni; scatta quindi la corsa alla conservazione di scontrini inutili: non è mostrando un pezzo di carta anonimo che si prova la propria capacità di spesa. Per certi versi questa paura fa il gioco del Tesoro, che vede una maggior richiesta di scontrini per iniziativa del consumatore e meno tolleranza verso i pagamenti “in nero”, ma in fin dei conti si tratta di paure infondate, perché se quel viaggio a Sydney è stato fatto utilizzando i propri risparmi nessuno potrà accusarci di evadere le tasse, sarà facilmente desumibile dalla diminuzione del saldo disponibile del patrimonio accumulato negli anni passati, inoltre il sistema utilizza mezzi informatici molto evoluti, qui probabilmente la tracciabilità gioca più a favore del contribuente.
Sembra insomma che a preoccuparsi siano le persone che utilizzano somme derivanti da evasione per consumare beni e servizi altrimenti impossibili rispetto a quanto dichiarato.
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[ad]È ancora da testare alla prova dei fatti l’efficacia, ma se un figlio è stato aiutato dal padre nell’acquisto della propria casa, non farà altro che esibire le prove della donazione (il versamento dell’assegno o la ricevuta del bonifico), non sarà certamente necessario dimostrare che la lavatrice è stata acquistata o che si pagano utenze e servizi assicurativi, tantomeno lo scontrino del supermercato dove si fa la spesa settimanalmente. Insomma, dobbiamo toglierci tutti dalla testa di dover diventare dei collezionisti di pezzi di carta.
Entrando nei dettagli tecnici, verrà fatta una distinzione tra reddito dichiarato e reddito ricostruito, cioè derivante dall’analisi dei consumi del contribuente. Se il ricostruito dovesse superare del 20% quello dichiarato non scatta alcun controllo, poiché esiste una sorta di franchigia di 12mila euro annui. Un esempio chiarirà tutto: un soggetto con reddito di 25mila euro all’anno potrà spendere fino a 42mila euro senza temere di dovere incombere negli accertamenti del fisco. Il calcolo del limite di spesa è semplice: basta aumentare del 20% il reddito dichiarato e sommare 12mila euro al tutto.
Se, per esempio, il soggetto di prima decide di acquistare un’auto di 50mila euro attingendo ai propri risparmi, prima di passare all’accertamento l’Agenzia delle Entrate considererà l’ammontare dei disinvestimenti effettuati nell’anno e, nelle ultime ore si pensa il controllo risalirà fino ai 4 anni precedenti. È chiaro che se il contribuente ha sacrificato i propri risparmi per acquistare l’automobile dei sogni, non deve temere nulla, poiché tutto ciò sarebbe facilmente desumibile dall’anagrafe tributaria. Completamente esule dalle verifiche se quel bene l’ha acquistato contraendo un prestito.
Gli elementi estremi di questo esempio fanno chiaramente capire che i soggetti effettivamente a rischio di controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate non sono certamente l’operaio o il piccolo commerciante, ma figure che notoriamente dichiarano meno pur sostenendo tenori di vita chiaramente fuori misura.
Precedentemente il redditometro faceva scattare i controlli in presenza di acquisti di beni di lusso, barche, cavalli, aerei, collaboratori domestici, abitazioni, con la nuova versione si elimina il paradigma per cui beni di lusso equivalgono a evasione, infatti, per le regole appena accennate, un soggetto con redditi per 10 milioni l’anno che acquista una barca per 1,2 milioni non sarà più inserito nei controlli dell’Agenzia delle entrate. In fin dei conti un’auto di lusso non si riesce di certo a comprare con i soldi in nero se non tramite mezzi di riciclaggio piuttosto complicati visto i controlli stringenti in materia.
Sulla carta quindi il Redditometro 2.0 sembra a mio avviso assumere connotati di una lotta all’evasione più intelligente e meno forcaiola, anche se si deve scontrare con un’opinione pubblica che considera ancora un tabù parlare allo Stato dei propri guadagni e le recenti ondate di cartelle esattoriali fa temere i cittadini di cadere in un tritacarne che arricchirebbe commercialisti e avvocati per difendere il contribuente onesto, ma i presupposti tecnici sembrano escludere tale ipotesi. Non ci resta che vedere nei fatti la sostenibilità di tale mezzo. È vero, il fisco pesca troppo dalle tasche di tutti, vale anche dire che se tutti pagassero le tasse ne pagheremmo meno, ma è un po’ come chiedersi se è nato prima l’uovo o la gallina. Probabilmente l’Italia paga il prezzo di un senso civico che spesso latita.
di Ivan Peotta