Georgia, gli specchietti per le allodole di Ivanishvili
Diminuzione delle tariffe del gas e dell’energia elettrica, calo del costo della benzina, miglioramento della sanità pubblica, aumento delle pensioni, conferimento di nuovi fondi all’agricoltura, drastica riduzione della disoccupazione, importante incremento degli investimenti esteri, un milionario budget personale come garanzia. Un simile programma, succulento di proposte e digiuno di responsabilità, stimolante persino per il sazio appetito di un ipotetico elettorato norvegese, diventa arma di plebiscitario consenso in Georgia. In un Paese flagellato dai postumi sovietici, indebolito dai precari equilibri della politica internazionale e profanato dalla voracità della classe politica, semplice risulta infatti barattare utopistiche promesse in cambio di simpatie elettorali.
[ad]In realtà, i primi mesi di mandato, lontanamente memori delle euforie elettorali, hanno mostrato un procedere governativo rallentato e tentennante. Le poche riforme promosse, sostanzialmente inerenti l’operare dell’amministrazione pubblica (riduzione delle ingerenze governative, parziale allentamento delle briglie sull’imprenditoria e gestione più responsabile degli apparati deputati alla sicurezza), hanno infatti trovato unica eccezione nell’approvazione del discusso provvedimento riguardante l’amnistia a 190 “prigionieri politici” e a 3000 carcerati. Questo, propagandistica sineddoche del percorso di rottura rispetto all’autoritarismo dell’ultimo Saakashvili, ha cercato di sedare i crescenti malcontenti, esito delle illusioni elettorali, conferendo al nuovo corso governativo un’apparente aura di cambiamento.
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[ad]La liberazione dei prigionieri “dissidenti” ha garantito inoltre nuova legittimità al governo, distraendo momentaneamente la popolazione dalle priorità socio-economiche promosse dall’agenda elettorale. Ha consentito infine di ri-sintonizzare le frequenze populiste, martellando riguardo le ingovernabilità prodotte dall’attuale coabitazione ed invitando i “sognatori” a ritornare in piazza contro gli amministratori locali. La coalizione governativa ha infatti presentato i momentanei tentennamenti nell’implementare le riforme come diretta conseguenza dello scarso collaborazionismo prestato dalle amministrazioni locali, risultato della tornata elettorale del 2010, ancora oggi prevalentemente espressione del Movimento Nazionale Unito di Saakashvili. Appurata la logica impossibilità di ribaltare a suon di berci i verdetti elettorali, sollevando dai propri incarichi chi ne ha ottenuto mandato popolare, il governo Ivanishvili si è così spinto oltre, promuovendo una serie di discutibili incarcerazioni volte a delegittimare diverse personalità in carica nelle istituzioni locali. Attraverso personali imputazioni (rissa tra ubriachi in un locale, appropriazione indebita di benzina) ha tentato di approfittare della parzialità giudiziaria, costante vantaggio delle classi governative post-sovietiche, al fine di pregiudicare la reputazione degli avversari politici, provando così a conquistarsi crescenti simpatie in vista delle presidenziali del prossimo ottobre. Nel tormentato scenario degli ultimi mesi, dominato dalle denunce degli abusi commessi dalle autorità penitenziarie e dalle nefandezze compiute da vari esponenti dell’entourage del Presidente, risultava infatti estremamente lucroso cavalcare i malumori suscitati dal malgoverno Saakashvili al fine di aumentare l’asticella dei propri consensi. Nel farlo, nessun miglior complice della giustizia banderuolata del Paese, barbaramente dimentica delle garanzie promosse dallo Stato di diritto e ripetutamente colpevole di assoggettarsi agli alterni desideri dei governanti di turno.
Esibizioni dei muscoli a parte, chiaro risulta comunque l’evidente calo di credibilità del “Sogno Georgiano”, forza politica presentatasi come riformatrice e rivelatasi invece conservatrice delle peggiori eredità del passato (mancata indipendenza della giustizia). Forza politica che inoltre, proseguendo ad inebriare la moltitudine di assetati con misure populiste, ne distrae l’attenzione, spronandola ad intraprendere inconcludenti rivendicazioni. Tra pretenziose promesse elettorali e frustranti conseguenti illusioni sembra così farsi nuovamente avanti l’urgenza di una classe politica responsabile. L’unica vera garanzia capace di promuovere riforme.