Obama: il secondo mandato ricomincia dal Fiscal Cliff
Il fiscal cliff fa ancora tremare gli Usa. Ancora? Ma non avevano risolto tutto a fine 2012, con un voto al Congresso in orari in cui in Italia di solito si sta preparando il cenone?
[ad]Ebbene no! Il problema era evitare che saltassero tutta una serie di agevolazioni fiscali volute ancora da Bush jr nel 2008 per salvare gli Stati Uniti da un baratro ancora peggiore: le conseguenze del fallimento di Lehman Brothers e lo scoppio della bolla dei mutui sub prime.
L’America è un paese molto dinamico, generalmente un’azione di politica economica reagisce molto prima che altrove, per via dell’estrema elasticità nel mercato del lavoro e nell’economia in generale. Con la stessa velocità con cui i dipendenti della banca fallita preparavano gli scatoloni per andarsene dal posto di lavoro, allo stesso modo l’economia e soprattutto la finanza reagiscono a incentivi fiscali.
Alla fine dello scorso anno si trattava di trovare la soluzione per evitare una contrazione nel PIL che avrebbe portato a una crescita negativa, inondando il mondo di pessimismo perché gli Stati Uniti sono ancora visti come un traino dell’economia capitalistica, con tutti i loro controsensi anche se non più fari da seguire ciecamente. Nonostante l’avversione del Tea Party si sono innalzate le tasse ai più ricchi, grazie anche alla cosiddetta “Buffet Rule”, nata dalla denuncia del multimiliardario che affermava di pagare meno tasse della sua segretaria (infatti i più ricchi versavano allo Stato il 15% contro il 35% dei lavoratori dipendenti, una forbice che si è sempre più ampliata dai tempi di Reagan).
Ora il problema è un altro: ricordate che nell’estate del 2011 si arrivò all’ultimo a innalzare il tetto del debito? Bene, ci risiamo. Il limite di 16.400 miliardi di dollari (circa 12.300 miliardi di euro) sta per essere raggiunto ai primi giorni di marzo.
Facciamo un passo indietro e capiamo cosa significa.
L’economia americana prevede che il debito non possa crescere più di un livello stabilito, e questo perché la Costituzione fu scritta in un periodo in cui esso era ancora considerato una potenziale arma per corrompere uno Stato. Il 30 aprile del 1803 gli Stati Uniti, attraverso un prestito al 6% contratto presso la banca inglese Barings, comprarono per 15 milioni di dollari la Louisiana dalla Francia. Al tempo sul trono d’oltralpe sedeva Napoleone, che utilizzava ogni singolo soldo che entrava nelle sue casse per fare guerra all’Inghilterra: in pratica gli inglesi finanziarono i loro nemici lucrandoci.
Ma cosa succede quando il debito raggiunge il suo tetto? La situazione è sicuramente molto diversa, rispetto a come la intenderemmo noi: infatti sostanzialmente verrebbe meno una serie di finanziamenti pubblici per categorie di spesa che vanno da quella militare agli stipendi dei dipendenti pubblici. In poche parole, pur non essendo difatti un paese fallito, gli Stati Uniti si ritroverebbero in una situazione di totale blackout: l’ipotesi di una “double-dip” (la doppia flessione) sull’economia mondiale diverrebbe tremendamente realistica.
Qui in Europa quando parliamo di default di uno Stato parliamo di vero e proprio fallimento ovvero l’incapacità di far fronte ai propri debiti, quindi il paragone con la Grecia o l’Islanda è del tutto inadeguato.
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