Obama: il secondo mandato ricomincia dal Fiscal Cliff
Convocando una conferenza stampa inaspettata, Barack Obama, alla fine del primo mandato, ha fatto quello che Mario Platero definisce come “una entrata a gamba tesa nei confronti di repubblicani”, sfidandoli nella Camera dei Rappresentanti, l’organo deputato all’innalzamento del debito, in mano repubblicana.
[ad]Sostanzialmente il Presidente degli Stati Uniti d’America ha affermato che se i congressmen hanno stabilito dei capitoli di spesa non possono negare l’aumento del tetto del debito in quanto ciò non permetterebbe di ottemperare gli impegni presi da loro stessi. Come dire alla propria controparte che se ha stabilito di spendere i soldi non può certo negare di far fronte alle obbligazioni assunte. L’abile mossa politica del Presidente ha sostanzialmente messo spalle al muro il Partito Repubblicano. Il portavoce della Camera John Boehner, del GOP (Grand Old Party, l’appellativo dei Repubblicani di lincolniana memoria), ha tentato di reagire lasciando intendere che probabilmente la discussione arriverà fino all’ultimo minuto come è successo nell’agosto del 2011 e il 31 dicembre 2012. All’interno della destra, inoltre, insiste la corrente “estremista” del Tea Party e l’incapacità di Boehner di riuscire gestire questa frangia per trovare una soluzione condivisa con i democratici ha screditato lo stesso agli occhi dell’opinione pubblica.
Nell’agosto del 2011 fu un declassamento del rating degli Stati Uniti da parte di Standard and Poor’s a far desistere i repubblicani. Al tempo era iniziata la rincorsa per la casa bianca e il GOP tentava di screditare il Presidente stracciandosi le vesti per il primo innalzamento del debito, ignorando che negli anni ‘80 Reagan lo aveva fatto ben 14 volte (sic!). Oggi non sappiamo se questo tipo di minaccia potrebbe sortire lo stesso effetto, fatto sta che con questa mossa Obama ha lasciato i repubblicani con il cerino in mano e ha comunicato all’opinione pubblica di chi sarebbe la colpa se si dovessero trovarsi in una situazione di default tecnico.
Nel discorso di giuramento prestato lunedì 21 il Presidente non ha lasciato molti spiragli ai compromessi ricevendo il plauso del progressista Washington Post, ma la trattativa è tuttora in atto e senza i voti della Camera dei Rappresentanti al Presidente non basterà la forza di volontà, restandogli solo 3 anni e mezzo per riformare completamente finanza, economia e mercato del lavoro, salvare l’Obama Care (la riforma dei sistema sanitario) ed evitare innalzamenti delle tasse alla classe media. A questo va sommata l’ipotesi di un cambio della guardia alla guida della Camera dei Rappresentanti quando il 113° Congresso si insedierà.
L’opinione pubblica resta a guardare e con essa l’Europa, troppo spesso e volentieri additata per essere la palla al piede dell’economia globale: nel medio termine sembrerebbe più agevole mettere d’accordo 27 Ministri dell’Economia europei che due partiti americani. Non ci resta che attendere sperando che “i signori del rating” non debbano intervenire investendo di pessimismo l’economia globale fin troppo anemica.