I governi dei paesi scandinavi tra sondaggi pessimi e crisi economica
I governi dei paesi scandinavi tra sondaggi pessimi e crisi economica
C’è un filo che in questo inizio di 2013 lega i governi di Reykjavík e Stoccolma, passando per Oslo e Copenhagen: i pessimi sondaggi. Le opposizioni sono avanti praticamente ovunque. E se questo in Svezia e Danimarca pesa solo fino a un certo punto (le elezioni sono lontane), altrove il discorso è diverso: in Islanda e Norvegia un cambio di governo nei prossimi mesi appare scontato.
[ad]In Svezia l’opposizione di centrosinistra (Socialdemocratici, Verdi e Partito della Sinistra) metterebbe insieme più del 47%. Il centrodestra (Moderati, Partito Popolare Liberale, Partito di Centro e Cristiano Democratici) oscilla tra il 41 e il 43%. Al 10% circa i Democratici Svedesi, forza di ultradestra estranea ai due poli. Il centrosinistra è avanti nei sondaggi, quindi. Ma siccome lo è da mesi i riflettori continuano a essere puntati sul Partito di Centro lacerato da una faida interna e in bilico intorno al 4%. La miccia l’ha accesa a fine dicembre la giovane leader Annie Lööf, prima aprendo tra le altre cose anche alla poligamia e all’immigrazione e poi – scoppiato il caos – facendo retromarcia e dichiarando che il programma del partito è ancora tutto da scrivere. Ma la resa dei conti sembra inevitabile soprattutto perché, come scritto da qualche analista, il partito è a un bivio: svoltare a destra o restare forza centrista? L’incertezza finisce per pesare sull’intero governo guidato da Reinfeldt, attaccato dall’opposizione sul lavoro (sempre più al centro delle politiche laburiste) e sull’economia. Denunciano i socialdemocratici: nei prossimi mesi migliaia di svedesi rischiano di perdere il posto. Il 25% delle aziende ammette di essere pronta a tagliare personale qualora fosse necessario: ipotesi non improbabile se ha ragione il 60% degli imprenditori che dichiara di aspettarsi un 2013 peggiore del 2012. Ma sono gli svedesi in generale a vedere nero: il 44,5%, secondo un sondaggio pubblicato martedì dall’Aftonbladet, è pessimista sul futuro economico del paese.
Clima simile in Finlandia: per due terzi della popolazione la crisi dell’euro deve ancora vivere il suo momento più acuto. Il quadro si completa con altri due tasselli: l’annuncio di Nokia che taglia 300 posti di lavoro e la dichiarazione di Jan Vapaavuori, ministro per gli Affari economici, secondo il quale il periodo duro per l’economia finlandese non è finito.
In Danimarca, l’allarme è per oltre 20mila danesi senza lavoro che entro l’autunno potrebbero perdere il sussidio statale. Nel tentativo di ridurre la disoccupazione e incentivare la crescita, qualche giorno fa la premier laburista Thorning-Schmidt ha ipotizzato alcune misure che sono piaciute al centrodestra, a cominciare dall’ipotesi di rivedere le norme fiscali per le imprese. L’embrione di una nuova linea economica? Forse. Entro marzo arriveranno proposte concrete e si capirà qualcosa di più. Intanto la premiership di Thorning-Schmidt continua ad assomigliare a una corsa a ostacoli. Ostacoli spesso disseminati dalla stessa maggioranza. Un esempio? Le dichiarazioni di Annette Vilhelmsen, ministro per gli Affari economici e leader del Partito Popolare Socialista: partiti borghesi, mondo degli affari e aziende remerebbero contro l’esecutivo. Risultato: imbarazzo nella maggioranza, Thorning-Schmidt ha dovuto affrettarsi a precisare che il rapporto con il mondo produttivo è buono e che c’è bisogno di tutti per ridare slancio al paese. Ma i sondaggi continuano a certificare l’affanno del governo: laburisti sotto il 20%, Liberali dell’ex premier Rasmussen al 32,4. Si votasse oggi, l’opposizione di centrodestra avrebbe un’ampia maggioranza.
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